Cronaca

‘Ndrangheta, i tentacoli dei clan sull’eolico: chiesto il processo per due boss vibonesi

La Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per nove indagati. L’udienza preliminare è stata fissata per il 28 marzo prossimo

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Sarebbero stati i Mancuso di Limbadi e i Trapasso di Cutro, insieme agli Anello di Filadelfia, in cooperazione fra loro, a gestire il business dei parchi eolici catanzaresi e crotonesi oltre che i parchi eolici delle Serre calabresi. Questa l'ipotesi accusatoria del sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Antonio Bernardo che, nell'ambito del processo scaturito dall'operazione "Via col Vento", ha chiesto di rinviare a giudizio nove indagati con l'accusa di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza con violenza o minaccia e danneggiamento, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.



Pantaleone Mancuso

Rocco Anello

I nomi. L’inchiesta che ha portato nel luglio del 2018 ad un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 13 persone emessa dal gip di Reggio su richiesta della Dda reggina è stata divisa in due tronconi, uno dei quali per competenza è finita nelle mani della Dda del capoluogo calabrese, guidata dal procuratore Nicola Gratteri. Gli indagati sono Rocco Anello, Riccardo Di Palma, Giuseppe Errico, Mario Fuoco, Giovanni Giardino, Romeo Ielapi, Pantaleone Mancuso, alias “Luni Scarpuni”, Giovanni Trapasso e Mario Scognamiglio. L’udienza preliminare è stata fissata per il 28 marzo prossimo.

L'inchiesta. Dagli approfondimenti emergerebbe, in particolare, il ruolo Giuseppe Evalto, imprenditore di Pizzo Calabro nel settore trasporti che viene ritenuto affiliato ai Mancuso. Per gli inquirenti sarebbe stato “contemporaneamente” imprenditore e “collettore degli interessi delle cosche”, rappresentando una figura di “cerniera” in grado di relazionarsi con le due realtà – quella criminale e quella imprenditoriale appunto – e di riuscire ad imporre alle società impegnate nella realizzazione dei parchi l’affidamento dei lavori collegati alle opere a ditte considerate colluse o compiacenti. Si sarebbe così fatta luce su numerosi episodi estorsivi, sia a società multinazionali (come la Gamesa, Vestas, Nordex), costrette a pagare il “pizzo” liquidando alle aziende segnalate da Evalto dei compensi per prestazioni sovrafatturate o mai eseguite. Così si danneggiavano però le imprese appaltatrici, non colluse, che dovevano corrispondere alle cosche una percentuale sull’importo delle opere da eseguire e, talvolta, anche si garantiva l’esecuzione di lavori commissionati alle ditte mafiose, alle quali le imprese appaltanti versavano il corrispettivo economico.

Le aree di influenza. Gli impianti su cui si sono focalizzate le attenzioni degli investigatori sono quelli di Piani di Lopa-Campi di Sant’Antonio, nella provincia di Reggio; il parco di Amaroni, nel Catanzarese; quello di San Biagio e di Cutro, nel Crotonese. Con riferimento al Reggino, da cui sono partite le indagini, gli imprenditori interessati sarebbe stati costretti ad interfacciarsi con Antonino Paviglianiti, ritenuto elemento di spicco dell’omonima cosca che controlla i comuni di San Lorenzo e Bagaladi; mentre i parchi eolici Catanzaresi e Crotonesi ricadevano nella sfera di influenza di altre due famiglie, quella dei Mancuso di Limbadi e Trapasso di Cutro. Infine, per gli insediamenti delle alte serre calabresi, gli “interlocutori” erano gli Anello di Filadelfia. E tra gli indagati figurano anche un imprenditore di Filadelfia, Romeo Ielapi, 46 anni, ritenuto vicino al boss Rocco Anello.