La “multinazionale” del narcotraffico, così il clan Mancuso gestiva gli affari con i cartelli sudamericani e marocchini

E' quanto emerge dall'operazione denominata "Ossessione". Così i clan trattavano con i narcos sudamericani e con i cartelli marocchini facendo arrivare in Italia fiumi di droga. I vibonesi erano in affari anche con i Mazzaferro di Goiosa Jonica

Associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti aggravata dalle modalità mafiose e dalla detenzione di armi. E' quanto, a vario titolo, viene contestato alle 25 persone fermate all'alba di oggi nell'ambito dell'operazione denominata "Ossessione" condotta dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Catanzaro e dallo Scico di Roma tra la Calabria, la Lombardia e la Puglia. Le indagini, coordinate dalla Procura antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri, hanno consentito di disarticolare un'organizzazione definita "estremamente complessa" dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tra le cui fila compaiono esponenti di spicco della famiglia di 'ndrangheta dei Mancuso, egemone nel Vibonese e con forti interessi nell'hinterland milanese.

L'assetto organizzativo. Nella rete degli inquirenti sono finiti i fratelli Salvatore Antonino, Giuseppe e Fabio Costantino che - secondo l'accusa - erano pienamente inseriti nel clan così come il pluripregiudicato Giuseppe Campisi, 59 anni, originario di Nicotera, personaggio ritenuto dagli inquirenti di elevatissimo spessore criminale, rappresentante della famiglia Mancuso in Lombardia, già condannato per associazione mafiosa e ritornato sulla scena dopo aver espiato una lunga condanna a 30 anni di reclusione per un omicidio. Giuseppe e Fabio Costantino, al pari di Gaetano Muscia di Tropea, risultano già coinvolti nell'operazione "Black Money" che tempo addietro aveva già duramente colpito il clan di Limbadi. L'attività di indagine ha consentito di disvelare compiutamente l'assetto organizzativo del sodalizio che, sfruttando l'abilità, di Michele Viscotti, esperto broker di origine pugliese, più volte recatosi in Sudamerica per contrattare prezzo e quantità di narcotico da inviare verso l'Europa, curava i rapporti con i produttori. E mentre Viscotti dall'estero contrattava su più fronti, i Costantino si preoccupavano di quello che nel gergo dei narcos viene chiamato "scarico", ovvero la possibilità di far uscire la droga dal sedimento portuale o aeroportuale d'arrivo grazie ad "agganci" utili allo scopo. Per questo compito il sodalizio contava su un personaggio originario della provincia di Reggio Calabria, Francesco Ceravolo, in grado di far uscire il narcotico dall'aeroporto di Malpensa evitando i controlli di rito.




Il maxi sequestro. Nel marzo del 2018, i finanzieri sono riusciti a penetrare in un deposito di Milano dove era stata stoccata la droga sequestrando oltre 430 chili di hahish giunti in Italia dal Marocco via Spagna. Dalla attività tecniche era emerso che gran parte della droga sequestrata era destinata a soddisfare le richieste dei finanziatori di stanza in Calabria tra cui il vibonese Antonio Narciso, 58 anni. L'ingente quantitativo rappresentava solo una quota parte del prodotto commissionato dai calabresi al potente cartello marocchino in grado di assicurar costanti ed enormi forniture di narcotico. Secondo l'accusa i fratelli Costantino stavano trattando con l'organizzazione marocchina l'acquisto di una quantità pari a 3000 chili di hashish che secondo i calcoli degli stessi affiliati avrebbe portato nelle tasche dell'associazione un introito di circa 5 milioni di euro da reinvestire nell'ancor più redditizio traffico di cocaina.

Operazione "Ossessione". L'inchiesta è stata denominata "Ossessione" in relazione alla maniacalità manifestata dai principali indagati, costantemente assillati dal pensiero di essere monitorati dalle forze dell'ordine, ha dimostrato come i vertici del sodalizio fossero in grado di disporre di diretti canali di approvvigionamento di cocaina dalla Colombia, dal Venezuela e dalla Repubblica Domenicana, oltreché dall'Olanda. Le indagini svolte dalla Finanza hanno consentito di accertare anche che, seguendo un'ottica prettamente imprenditoriale, l'organizzazione, in attesa dell'arrivo delle partite di cocaina dal Sudamerica, con lo scopo di massimizzare il profitto si intesseva rapporti d'affare con un personaggio marocchino residente a Milano, in diretto contatto con i principali cartelli maghrebini, per l'importazione di massicce quantità di hashish. La spiccata transnazionalità dell'organizzazione, che evidenzia nuovamente l'indissolubilità del "trait d'union" tra la criminalità organizzata calabresi e i "cartelli" mondiali della droga e una capillare diffusione sul territorio nazionale, fanno si che la consorteria criminale operi come una vera e propria multinazionale del narcotraffico, curando l'acquisto all'ingrosso , a prezzi assolutamente concorrenziali, della droga, direttamente dai produttori, per poi smistarla in territorio calabro e lombardo tramite una fitta rete di accoliti.




Affari con i clan della Jonica. In questo contesto, le indagini hanno fatto registrare come i vibonesi siano in affari anche con esponenti legati al clan Mazzaferro di Gioiosa Jonica, da anni trapiantati nel Milanese e nel Comasco, in grado di smistare importanti quantità di narcotico in Lombardia. Proprio a Tonino Mazzaferro i finanzieri hanno sequestrato nel marzo del 2018 un chilogrammo di cocaina pura al 98%.

Il ruolo delle donne. Un ruolo fondamentale era affidato alle donne utilizzate - secondo l'indagine - come "teste di ponte" per le comunicazioni tra gli accoliti ma anche come co-finanziatrici come nel caso dell'albanese Elisabeta Kotja e come intermediarie di alto rango con gli esponenti dei cartelli sudamericani. Spiccano le due venezuelane Clara Ines Garcia Rebolledo e Gina Forgione, estremamente note nel panorama del narcotraffico internazionale e in grado di mettere in contatto i calabresi con i narcos sudamericani. Tra questi c'è Andreas Julio Murillo Figueroa, noto narcotrafficante colombiano ospitato dai calabresi a Milano per pianificare l'arrivo della cocaina dai paesi dell'America Latina. Socio della Forgione, il colombiano ha in passato collaborato anche con il famigerato Pablo Escobar, il sanguinario capo storico del "cartello di Medellin" tra gli anni ottanta e novanta.

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