Cronaca

Autobomba a Limbadi, i Mancuso-Di Grillo restano in carcere: “Sono spietati e crudeli”

Per il gip Lupoli sarebbero persone “totalmente prive di capacità raziocinanti, disprezzanti le regole e le più elementari norme della civile convivenza, caratterizzati da inaudita spietatezza, disumanità, crudeltà d'animo, ostinata determinazione"

Operazione demetra

“Accaparramento in dispregio delle regole”, “mediante imposizione, costrizione ed assoggettamento alla supremazia indiscutibile ed incontrastabile dei Mancuso”: così si esprime il giudice Gabriella Lupoli, che ha disposto il carcere per Vito Barbara, Domenico Di Grillo, Lucia Di Grillo, Rosaria Mancuso, nell'ambito dell'inchiesta per l'omicidio di Matteo Vinci, 42enne di Limbadi, ucciso da un'autobomba il 9 aprile scorso.

La sudditanza ai “Mancuso”. Per il magistrato vibonese “ogni opposizione, resistenza e negazione a pretese indebite andavano combattute, stroncate e punite anche mediante gesti estremi, eclatanti e 'terroristici', riaffermativi del totale controllo del territorio e sudditanza della collettività". E proprio l'escalation criminosa, le modalità agghiaccianti dell'attentato con l'orrenda fine riservata a Matteo Vinci, lo stesso orgoglio di Rosaria Mancuso per l'appartenenza alla “famiglia” e che si compiace, dopo scarcerata, col marito dello “scappellamento” a lei tributato in carcere dagli altri detenuti, in ragione della caratura criminale della famiglia alla quale appartiene, tutte queste circostanze, secondo il giudice, integrano il metodo comportamentale mafioso. Questa, dunque, e non la “benedizione” - placet che il capo clan Antonio Mancuso, Zio 'Ntoni, avrebbe dato. Secondo la prospettazione dell'accusa, v'è una precisa strategia della famiglia Mancuso – Di Grillo volta all'ottenimento dei fondi dei Vinci.




L'autobomba del 9 aprile. Muore per effetto della deflagrazione dell'autobomba collocata sotto la sua auto Matteo Vinci, mentre il padre Francesco miracolosamente si salva, pur riportando gravissime ferite. Quelle ferite che, secondo le intercettazioni, costringeranno il Vinci a stare a letto, abbandonando la cura dei terreni, perché le ustioni non passano mai, ed i muscoli si afflosciano, e non riesci più a muoverti. E se non basta, “facciamo u ripigghiu”. Mentre la moglie, la Scarpulla, sarà neutralizzata a causa della protezione alla quale sarà sottoposta dalle Forze dell'Ordine. E così che i Mancuso-Di Grillo avrebbero realizzato le proprie mire espansionistiche a danno dei Vinci: “non serve neanche che ce lo pulizziamo, non scendono più, è finita la pacchia”. E se per caso non bastasse, “facciamo u ripigghiu se no...! e chiudiamo”. Per l'autobomba del 9 aprile il giudice ritiene l'ascrivibilità delle condotte a Rosaria Mancuso, Lucia di Grillo e Vito Barbara, sulla base delle intercettazioni, nelle quali traspare la preoccupazione per le telecamere, l'attenzione ai giornali, il ritenuto stallo investigativo, l'omertà che regna sovrana nel territorio (“se qualcuno sa non parla”). Altre ammissioni il giudice riscontra nelle conversazioni in cui i coniugi Barbara – Di Vito convengono che di fronte a terza persona dovranno dire la verità, perché “non sono storte”, e hanno battezzato pure la figlia. Il riferimento è a Domenico Mancuso, “The Red”, fratello di Rosaria.

Rosaria Mancuso

“E sono trenta cucuzze”. In un altro dialogo tra Rosaria Mancuso ed il nipote Domenico Mancuso la donna ammetterebbe le proprie responsabilità, secondo il giudice. Esprime dispiacere per il voltafaccia subito da buona parte della famiglia, e dispiega una serie di alibi per tutti i familiari; il nipote però le spiega che se il magistrato appura il ruolo di mandante, “che mi interessa che eri là.... Lo Stato sai cosa dice il giudice? E sono trenta cucuzze!”. Cioè sono trent'anni di carcere.
Niente gravità indiziaria, invece, ritiene il giudice per la rissa del marzo 2014, per cui difetta in capo a Salvatore Mancuso e Di Grillo Rosina la necessaria gravità indiziaria per dar luogo ad una misura cautelare in carcere.

Spaccatura fisiologica. La barbara uccisione di Matteo Vinci ha ingenerato la dissociazione di alcuni esponenti della famiglia “Mancuso”; ma il giudice ritiene, sulla base della storia giudiziaria del clan Mancuso, che “frizioni intestine” sono fisiologiche e non intacchino l'unità programmatica, la condivisione dei metodi, la percezione esterna dell'onnipresenza e consequenziale sottomissione.

Vito Barbara

Domenico Di Grillo

Le difese degli indagati. Oltre a Domenico Di Grillo, che si è avvalso della facoltà consentita dalla legge di non rispondere, gli indagati hanno reso interrogatorio innanzi il giudice Lupoli. Lucia Di Grillo ha spiegato al giudice che i Vinci ingigantiscono la vicenda, pur risalente nel tempo, dei terreni. Per Rosaria Mancuso, la linea tenuta è la dichiarazione di estraneità ai fatti, e l'assenza dai luoghi ove i fatti si sarebbero svolti, poiché impegnata altrove. Secondo la sua prospettazione, i terreni sono solo in parte recintati, ed ai Vinci addebita episodi di sconfinamento.
Anche Rosina Di Grillo protesta la propria innocenza spiegando di essere dedita alla propria famiglia. Stessa protestata estraneità anche per Salvatore Mancuso, che dichiara di non intrattenere rapporti con la sorella Rosaria da anni; di non aver partecipato ad azioni aggressive ed anzi di voler cedere i propri possedimenti per curarsi. Vito Barbara ha offerto una diversa spiegazione delle frasi intercettate, che il giudice non ha comunque ritenuto “alternativa credibile” e di non avere contrasti con i Vinci, pur tuttavia spiega di essere a conoscenza della loro intenzione di sottrarre la terra al suocero.




Operazione Demetra arrestiI presupposti del provvedimento. Il giudice non ha convalidato il fermo di Vito Barbara, Domenico Di Grillo, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso, per difetto del pericolo di fuga; pure, non ha convalidato per Rosina Di Grillo e Salvatore Mancuso per difetto di gravità indiziaria; ha applicato la misura cautelare in carcere per Vito Barbara, Domenico Di Grillo, Lucia Di Grillo, Rosaria Mancuso; ha respinto la richiesta di misura cautelare per Rosina Di Grillo e Salvatore Mancuso, per difetto di gravità indiziaria e disponendo l'immediata scarcerazione. Il magistrato motiva la necessità della custodia in carcere in ragione della sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, in ragione delle ostinate e spietate modalità, per l'elevata conflittualità -a maggior ragione a seguito della collaborazione della parte offesa, ritenuta un “cancro”, della quale gli indagati si auspicavano la morte e se ne prospettava l'uccisione. A ciò si aggiunge il rischio di inquinamento delle prove, mediante avvicinamento e condizionamento dei testimoni, anche in forma indiretta, considerata la capillare rete familiare. Nell'applicare la misura cautelare in carcere, il giudice Lupoli ritiene gli indagati (i coniugi Di Grillo/Mancuso; la figlia Lucia ed il genero Vito Barbara) persone “totalmente prive di capacità raziocinanti, disprezzanti le regole e le più elementari norme della civile convivenza, caratterizzati da inaudita spietatezza, disumanità, crudeltà d'animo, ostinata determinazione; dunque, una condizione così inquietante ed allarmante da imporre la custodia cautelare in carcere anche per un soggetto ultrasettantenne (Domenico Di Grillo) e madre di bambini in tenera età (Lucia Di Grillo).

Il Collegio difensivo. L'avvocato Di Renzo difende i coniugi Di Grillo, la figlia Lucia Di Grillo e suo marito Vito Barbara. L'avvocato Giovanni Marafioti è il difensore di Salvatore Mancuso, mentre l'avvocato Francesco Schimio difende Rosina Di Grillo.

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