Cronaca

La fabbrica dei veleni e dei misteri, la storia della “Fornace Tranquilla” di San Calogero

Finita al centro di un'inchiesta della Finanza di Vibo, è considerata la discarica dei veleni più pericolosa d'Europa. Il processo si è arenato e a fine giugno verrà dichiarato prescritto.Intanto nella zona la gente muore di tumore e per la bonifica servirebbero oltre 40 milioni di euro

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La discarica dei veleni più pericolosa d’Europa è ai confini tra la provincia di Vibo Valentia e di Reggio Calabria. Si dice che al suo interno sono state seppellite oltre 130 mila tonnellate di rifiuti industriali tossici provenienti dalla centrale Termoelettrica Federico II di Brindisi, la più grande centrale d’Europa. Da Brindisi ma anche da Priolo e Termine Imerese. E’ l’ex fornace “Tranquilla”, ubicata nei pressi della statale 18, all’altezza del bivio di Calimera, frazione di San Calogero. Una bomba ecologica che ha trasformato interi agrumeti della zona in quella che per molti ritengono sia la “terra dei fuochi” vibonese. Tonnellate di veleni seppelliti tra il 2000 ed il 2007 negli impianti della discarica fino a quando non arrivò la guardia di finanza che avviò l’inchiesta sfociata nell’operazione Poison e al sequestro dell’intera area. Era il 2011 e sette anni dopo il processo si è praticamente arenato al Tribunale di Vibo dove sta per essere definitivamente insabbiato dalla prescrizione. Ormai è solo questione di giorni perché il prossimo 28 giugno si terrà l’ultima udienza che metterà la pietra tombale su tutto.

L’inizio della storia. La Fornace Tranquilla era un srl che produceva laterizi ed era gestita dai fratelli Antonino, detto Ninì, e Giuseppe Romeo, due imprenditori di Taurianova. Nei primi mesi del 2000 l’azienda entra in crisi e per risollevarsi chiede dei finanziamenti che prima vengono accordati e poi, all’improvviso, bloccati. L’ipotesi degli investigatori che per primi hanno indagato sui misteri della fabbrica dei misteri è che tutto ciò sia successo allo scopo di costringere i proprietari a vendere l’azienda o comunque a scendere a patti con chi già aveva pianificato un nuovo business, milionario e puzzolente. In quei mesi c’era chi spingeva ad aprire i cancelli della ditta allo smaltimento dei fanghi provenienti da alcune centrali termoelettriche, prima fra tutte quelle della Federico II di Brindisi. Fanghi che sono il risultato dell’enorme messa d’acqua che serve a raffreddare gli impianti e a generare energia. Fanghi composti – solo sulla carta – da argilla e sabbia, ma in realtà formati in prevalenza da metalli pesanti: mercurio, piombo, zinco, cromo.

Un omicidio misterioso. E’ un business che puzzava già in partenza e che viene avviato subito dopo la misteriosa morte di Antonino Romeo, l’imprenditore di riferimento dell’azienda. Nella primavera del 2000 viene trovato cadavere nella sua autovettura finita in una scarpata nella zona di Coccorino lungo la provinciale tra Nicotera e Joppolo. Una morte catalogata come incidente stradale. Qualcosa però non torna e per la stessa guardia di finanza le circostanze della morte sono a dir poco misteriose. “Romeo – scrivono – veniva infatti trovato cadavere nella propria autovettura volutamente fatta precipitare dal costone della provinciale per Nicotera, al momento del ritrovamento lo stesso risultava svestito e con la maglia che gli copriva il capo, tecnica usata dalle ‘ndrine per indicare chi ha visto troppo e non doveva vedere”. Ninì si sarebbe forse reso conto della pericolosità del business e per questo sarebbe stato ammazzato.

L’ingresso dei Pontoriero. Sei mesi dopo la morte di Antonino Romeo alla fornace inizia l’attività di smaltimento ed incomincia l’andirivieni dei tir. Arrivano dalla Puglia guidati da persone che – per gli investigatori – sono ritenute vicine alla criminalità organizzata pugliese. Un business milionario e pericoloso del quale – secondo l’accusa – non potevano non sapere le ‘ndrine della zona.  Antonino Romeo non c’è più e nell’azienda subentrano altri soci, quali Fortunato e Francesco Pontoriero, quest’ultimo assunto in qualità di custode. Sono entrambi di San Calogero e gli inquirenti li inquadrano quali vicini alla cosca Mancuso. Sul registro degli indagati nell’inchiesta  Poison, anni dopo, finirà Francesco Pontoriero, lo zio di Antonio, il 43enne fermato per l’omicidio del migrante maliano Sacko, preso a fucilate ed ucciso proprio sull’area dell’ex fornace. Un altro omicidio legato a doppio filo agli interessi che ruotano intorno all’area dell’ex fornace.

Verso la prescrizione ed il dissequestro. La fabbrica dei veleni, da sempre sorvegliata dai Pontoriero, a fine mese potrebbe essere dissequestrata insieme a tutta la sua area proprio perché il processo sarà dichiarato prescritto. Il 9 ottobre 2014, l’allora presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Lucia Monaco, designata dopo oltre un anno di stasi per mancanza di giudici, si era infatti astenuta dalla trattazione poichè incompatibile avendo fatto il gip. In precedenza, solo udienze di rinvio per difetti di notifica agli imputati, mentre un’udienza era stata addirittura fissata per errore il 20 aprile 2014, giorno di Pasqua e quindi con il Tribunale chiuso.

Veleni e misteri. Dall’area dell’ex fornace i migranti e non solo loro dovevano stare alla larga e la segnalazione da parte dei Pontoriero ai carabinieri della Stazione di San Calogero del prelievo di materiale lo scorso 5 maggio è un indizio non secondario. Come dire: “quella è roba nostra e non si tocca”. Terreni avvelenati ma che sembrano fare gola a qualcuno. Eppure per smaltirlo tutto quel materiale radioattivo servirebbe una bonifica da oltre 40 milioni di euro. Impossibile o, forse, più probabile che il carico di veleni rimanga seppellito per sempre nell’indifferenza e tra i misteri di un’area che nel suo ventre potrebbe nascondere qualcosa di molto più pericoloso e che nessuno ha intenzione di fare venire alla luce. Proprio mentre a San Calogero e nelle zone limitrofi le gente continua ad avvelenarsi e a morire di cancro.

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