Cronaca

‘Ndrangheta, Aurora Spanò e Giulio Bellocco condannati anche in Appello

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La Corte ha comminato 23 e mezzo alla donna boss di San Ferdinando e 17 anni al suo compagno, elemento dell’omonima cosca di Rosarno

La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Aurora Spanò, Giulio Bellocco e gli altri cinque imputati coinvolti nel processo in ordinario dell’inchiesta “Tramonto”.
Al centro dell’inchiesta coordinata dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria contro la costola della cosca Bellocco, che opera a San Ferdinando, c’è la Spanò. La compagna di Giulio Bellocco è considerata il capo promotore dell’associazione mafiosa. La procura generale aveva chiesto per la donna la conferma della pena inflitta in primo grado, vale a dire 25 anni di carcere, otto in più del compagno Giulio Bellocco, condannato a 18 anni di reclusione.

Le condanne La Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado, abbassando leggermente le pene inflitte dal collegio del Tribunale di Palmi anche per gli altri 5 imputati. Aurora Spano è stata condannato a 23 anni e mezzo di carcere, Giulio Bellocco 17 anni, al comandante della polizia municipale di San Ferdinando Giuseppe Stucci e all’agente Giuseppe Spanò è stata inferta una condanna a 2 anni e mezzo di reclusione. Antonio e Gaetano Secolo 2 anni e Maria Grazia Secolo 1 anno di reclusione.

Donne protagoniste «Questo è un processo in cui sono protagoniste le donne, sia come vittime che come carnefici. E il destino ha voluto che siano tre donne a giudicare i fatti». Questo l’incipit della requisitoria dei pm antimafia Luca Miceli e Matteo Centini impegnati a sostenere l’accusa nel processo di primo grado.
L’inchiesta, infatti, nasce dalle dichiarazioni alla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria di Stefania Secolo. Da quelle dichiarazioni iniziarono le indagini che portarono alla maxi operazione “Tramonto”. La Secolo era amica di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia morta in circostanze misteriose ingerendo acido nell’agosto 2011, e a lei si era rivolta per discutere della pretesa della Spanò e del suo compagno Bellocco, di entrare in possesso di alcuni appartamenti a Rosarno di proprietà della famiglia Secolo. Quando inizia a collaborare con la magistratura, Maria Concetta Cacciola racconta di quella storia di usura, di quel prestito di 600mila euro che la Spanò e Bellocco concedono a uno dei fratelli di Stefania, a tassi usurari che arrivano al 27%.

Il debito Antonio Secolo, imprenditore edile con il fratello Gaetano nella provincia di Brescia, si indebita per 1 milione di euro. Non riesce a ridare indietro i soldi, e i Bellocco pretendono, come parziale risarcimento di quel credito che non riescono a incassare, di diventare proprietari della palazzina di famiglia, dove vivono Stefania e le sue sorelle con i mariti. I suoi fratelli negano e finiscono nei guai. Quando scatto l’operazione contro i Bellocco, infatti, ci finiscono dentro, accusati e poi condannati in primo grado e adesso in appello per favoreggiamento. Secondo la Dda i tre Secolo avrebbero preferito soccombere al diktat dei Bellocco piuttosto che aiutare gli investigatori a farli uscire da quella morsa mafiosa.