Ammanco alla Provincia di Vibo: condannati Currò, De Sossi e Monte Paschi di Siena

La Corte dei Conti della Calabria ha riconosciuto la responsabilità erariale: risarcimenti del danno milionari per i protagonisti

di PAOLO DEL GIUDICE

La Corte dei Conti della Calabria ha riconosciuto la responsabilità erariale a titolo di dolo di Mirella Currò, già dipendente dell’Amministrazione provinciale di Vibo Valentia, accusata di essersi appropriata di 1.281.525,70 di euro formando falsi mandati di pagamento, e perciò condannata al risarcimento del danno quantificato nella pari somma, oltre interessi e rivalutazione; nei confronti della Currò la Corte dei Conti ha disposto altresì la conversione del sequestro, in precedenza disposto a suo carico, in pignoramento fino a concorrenza della somma di euro 1.281.525,70.  
La magistratura contabile ha riconosciuto altresì la responsabilità, di natura sussidiaria e colposa, di Armanda De Sossi, responsabile del settore finanziario dell’amministrazione provinciale di Vibo, ravvisando a suo carico la violazione del dovere di vigilanza e di controllo, “fino alla somma di euro 453.500,00, pari al 50% del danno alla cui produzione la medesima ha certamente concorso con la totale omissione di qualsiasi preventivo controllo sui mandati da lei direttamente sottoscritti”.  Nel giudizio di responsabilità veniva citato anche il tesoriere, la Banca Monte Paschi di Siena s.p.a, la cui condotta è stata riconosciuta gravemente colposa per aver omesso il dovuto controllo sulla sussistenza dei presupposti formali dei mandati di pagamenti, e pertanto condannato in via sussidiaria alla minore somma di euro 101.410,00.

I fatti. La Prefettura di Vibo Valentia inoltrava il 13 settembre 2012 una segnalazione alla Procura denunciando l’indebita liquidazione di diversi mandati di pagamento per false prestazioni, tra l’agosto 2009 ed il novembre 2011, effettuata dalla dott.ssa Mirella Rita Currò nella sua qualità di responsabile del procedimento e di ragioniera della Provincia, a favore di persone compiacenti, di parenti e del coniuge della signora Currò, con il fine di appropriarsi indebitamente di somme di pertinenza dell’Amministrazione nell’ammontare di complessivi euro 1.208.290,70 e con conseguente danno erariale di pari importo. La Procura regionale della Corte, con atto di citazione del 25 luglio 2015, invocava la condanna dei convenuti – la Currò, la De Sossi e il tesoriere Banca Monte Paschi di Siena, a risarcire all’Amministrazione provinciale di Vibo Valentia un danno erariale pari ad € 1.281.525,70, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, a titolo di dolo e in via principale quanto alla dott.ssa Mirella Rita Currò, non costituita, e a titolo di responsabilità sussidiaria nei limiti del 50% dell’intero importo quanto alla dott.ssa Armanda De Sossi e alla Banca Monte Paschi di Siena s.p.a.

Le responsabilità. Nell’ampio apparato motivazionale, la Corte esamina partitamente le diverse posizioni, chiarendo i profili di responsabilità di ciascun protagonista della vicenda. Preliminarmente, la Corte respinge l’eccezione di intervenuta prescrizione in relazione ai mandati contestati, poiché “l’occultamento doloso del danno comporta il differimento del termine prescrizionale anche nei riguardi dei convenuti per condotte colpose, ogni qualvolta queste ultime abbiano fornito un apporto causale nella produzione del danno insieme a concorrenti condotte dolose”.

La posizione di Mirella Currò. Nei confronti della Currò, che non ha partecipato al giudizio, ritiene il Collegio che sia stata provata in tutti i suoi elementi costitutivi la responsabilità erariale a titolo di dolo, “la piena coscienza e volontà del danno, una condotta appropriativa delle risorse pubbliche connotata da dolo, in quanto realizzata attraverso un’attività truffaldina dispiegatasi mediante molteplici macchinazioni ed artifizi”. A rafforzamento delle già robuste prove militano le circostanze significative rappresentate dalle dimissioni rassegnate nello stesso giorno in cui veniva diffidata dall’Amministrazione alla restituzione delle somme sottratte, e il trasferimento del domicilio in altro Comune.

“Culpa in vigilando” per Armanda De Sossi. Il responsabile degli affari finanziari ha “formalmente riconosciuto come propria la firma apposta sui mandati contestati e ciò equivale ad ammettere la sua totale inosservanza dei doveri di controllo che le competevano nella qualità di responsabile dell’Ufficio preposto”; pertanto, alla De Sossi la Corte addebita la violazione di un preciso dovere di vigilanza e controllo che, nella vicenda all’esame è stato dalla medesima più volte disatteso, con conseguente addebito di responsabilità gravemente colposa per culpa in vigilando. Esaminando le tesi difensive della De Sossi, la Corte censura “la prassi – se effettivamente esistente – di non provvedere alla preventiva verifica dei titoli giuridici per i quali il mandato veniva emesso e, quindi, inoltrato al Tesoriere per il pagamento”; prassi che “appare oltremodo perniciosa per l’amministrazione e la De Sossi, esercitando le funzioni di dirigente responsabile dell’Area finanziaria avrebbe perlomeno dovuto contrastarla se non interromperla. Né può valere la circostanza che i mandati da lei firmati fossero numerosi e giornalieri a sminuire la gravità della culpa in vigilando della quale ella si è resa responsabile”. Ne consegue dunque, per la De Sossi, il riconoscimento della sua responsabilità sussidiaria; la Corte ritiene però equo “circoscrivere la responsabilità della Dirigente ai soli mandati di pagamento, irregolarmente emessi, che recano in calce la sua firma autografa e che sono stati prodotti dall’attore ed allegati al proprio fascicolo”.

Il Monte Paschi di Siena, titolare della convenzione di tesoreria. La Corte esamina la posizione del Monte Paschi, tesoriere, per il quale è importante comprendere “entro quali limiti doveva essere esercitato il suo dovere di controllo, preliminare al pagamento dei mandati stessi”. Come spiegano i magistrati contabili, il tesoriere, secondo la convenzione di Tesoreria e secondo i principi generali in materia di verifica sui mandati, era tenuto al pagamento dei mandati qualora supportati da tutti i requisiti di forma ivi previsti, dovendosi, in caso contrario, astenere dall’effettuare il pagamento. Ai fini della inosservanza degli obblighi del tesoriere, per la Corte, rilevano solo le violazioni “che rappresentano espressa inadempienza alle verifiche dei requisiti, di sostanza e di forma”, di cui all’art.185 del T.U.E.L. In particolare, i magistrati contabili individuano due mandati di pagamento, di cui uno “privo delle indicazioni del creditore ed, in particolare, del codice fiscale o partita IVA (art.185, lett. e) T.U.E.L.) -, nonché privo della firma del dirigente”, mentre un altro che reca solo l’indicazione e la sigla del “titolare di p.o.” e non del dirigente. Per altri mandati di pagamento la Corte non ravvisa profili censurabili in base alle norme di riferimento. Esaminando le difese del tesoriere, secondo il quale l’assenza di controlli era a monte, cioè in capo all’Amministrazione provinciale, sicché essa avrebbe finito col determinare una sorta di affidamento da parte del tesoriere, la Corte le ritiene destituite di fondamento; nel riconoscere che “l’assenza di controlli va, sì, imputata all’Amministrazione nel suo complesso ed, in particolare e per come meglio sopra delineato, alla convenuta De Sossi”, comunque “vale a qualificare anche le condotte del tesoriere il quale, dal canto suo, ha colpevolmente omesso quelle doverose attenzioni rispetto alle singole operazioni di pagamento dei mandati palesemente irregolari, finendo con il contravvenire con colposa negligenza ai propri doveri convenzionali”. Con queste motivazioni, depositate il 5 dicembre ultimo scorso, la Corte ha statuito, a vario titolo, la responsabilità di dirigenti ed istruttori della Provincia, oltre che del tesoriere, condannandoli al risarcimento dei danni arrecati.

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