Cronaca

Processo “Andromeda”, 33 condanne alle cosche del Lametino. Tre gli ergastoli

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Sei in tutto le assoluzioni. Reggono le accuse nei confronti degli imputati considerati sodali e affiliati alla famiglia Iannazzo e al clan satellite Cannizzaro-Da Ponte

di GABRIELLA PASSARIELLO

Dopo un’udienza fiume tra arringhe difensive, controrepliche del pubblico ministero e una camera di consiglio durata circa sette ore si è concluso il primo capitolo giudiziario per 39 imputati, giudicati con rito abbreviato, coinvolti nella maxi operazione  antimafia, denominata, “Andromeda”, condotta il 14 maggio 2015, dalla Squadra mobile, dalla Dia dal Gico di Catanzaro,  contro la famiglia Iannazzo e il clan satellite  Cannizzaro-Da Ponte.

Trentatrè le condanne sentenziate, tre gli ergastoli e sei le assoluzioni decise dal gup Gaetano De Gregorio. Regge in buona sostanza l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro:

Vincenzino Iannazzo, 18 anni di carcere
Francesco Iannazzo, 12 anni di carcere
Antonio Davoli, 14 anni di carcere
Antonio Provenzano, 14 anni e 8 mesi di carcere
Pietro Iannazzo, 14 anni e 8 mesi di carcere
Giovannino Iannazzo, 14 anni di carcere
Santo Iannazzo, 14 anni di carcere
Antonio Iannazzo, assolto
Emanuele Iannazzo, 14 anni di carcere
Vincenzino Lo Scavo, assolto
Peppino Buffone, assolto
Adriano Sesto, 8 anni di carcere
Bruno Gagliardi, ergastolo
Alfredo Gagliardi , ergastolo
Francesco Mascaro, 10 anni di carcere
Domenico Antonio Cannizzaro, 12 anni di carcere
Antonello Cannizzaro, 8 anni di carcere
Angelo Anzalone, ergastolo
Domenico Cannizzaro, 8 anni di carcere
Mario Chieffallo, 8 anni di carcere
Antonio Chieffallo, 8 anni di carcere
Vincenzo Torcasio “ u giappone”, 30 anni di carcere
Gino Daponte, 14 anni di carcere
Peppino Daponte, 8 anni di reclusione
Francesco Salvatore Pontieri, 8 anni di reclusione
Peppino Marrazzo, assolto
Pasquale Lupia, 8 anni di reclusione
Antonio Liparota, assolto
Antonio Muraca, 4 anni e 8 mesi
Gregorio Scalise, 8 anni
Vincenzo Giampà, (46enne), 8 anni e 8 mesi di reclusione
Natalie Zingraff, 4 mesi di reclusione
Antonello Caruso, assolto
Angelo Provenzano, 1 anno e 6 mesi di reclusione
Claudio Scardamaglia, 11 anni e 4 mesi
Gennaro Pulice, 8 anni di reclusione
Pietropaolo Stranges, 4 anni
Matteo Vescio, 4 anni e 8 mesi

Le richieste del pubblico ministero
Il pm al termine della requisitoria aveva chiesto complessivamente 3 ergastoli e oltre 400 anni di carcere complessivi. Queste le richieste: Vincenzino Iannazzo (16 anni), Francesco Iannazzo (12 anni), Antonio Davoli 14 anni, Antonio Provenzano (14 anni e 8 mesi), Pietro Iannazzo (14 anni), Giovannino Iannazzo (14 anni), Santo Iannazzo (14 anni), Antonio Iannazzo (14 anni), Emanuele Iannazzo (13 anni e 4 mesi), Vincenzino Lo Scavo (10 anni), Peppino Buffone (10 anni), Adriano Sesto (10 anni), Bruno Gagliardi (ergastolo), Alfredo Gagliardi (ergastolo), Francesco Mascaro (13 anni e 4 mesi), Mimmo Cannizzaro (14 anni), Antonello Cannizzaro (10 anni), Angelo Anzalone (ergastolo), Domenico Cannizzaro classe 75 (10 anni), Mario Chieffallo (10 anni), Antonio Chieffallo (10 anni), Vincenzo Torcasio “giappone” (30 anni), Gino Daponte (14 anni), Peppino Daponte (14 anni), Francesco Salvatore Pontieri (10 anni), Peppino Marrazzo (10 anni), Pasquale Lupia (10 anni), Antonio Liparota (10 anni), Antonio Muraca (6 anni), Gregorio Scalise (8 anni), Vincenzo Giampà classe 70 (12 anni), Natalie Zingraff (8 anni), Antonello Caruso (6 anni), Angelo Provenzano (8 anni), Claudio Scardamaglia (11 anni e 4 mesi), Gennaro Pulice (8 anni), Pietropaolo Stranges (4 anni), Matteo Vescio (4 anni e 8 mesi). Questi ultimi tre collaboratori di giustizia.

L’inchiesta. Una cosca di elite, che puntava a fare affari nelle aziende, riconosciuta autonoma nel lametino, capace di arrivare anche in Svizzera, Irlanda e di tessere rapporti con la ‘ndrangheta Reggina, quella dei Pesce Bellocco e dei Mancuso di Limbadi. Una vera e propria cosca imprenditoriale come l’ha descritta il gip Domenico Commodaro firmatario dell’ordinanza di 45 misure cautelari, che non disdegnava in passato di far ricorso alle armi ma, che oggi ha scelto una nuova connotazione, di essere mafia imprenditrice.  Addirittura dall’estero dove risiedeva Vincenzino Iannazzo, sarebbero arrivati tramite “pizzini” le indicazioni puntuali e precise sulle strategie imprenditoriali delle società a lui riconducibili. Agli imputati vengono contestati  a vario titolo oltre l’associazione a delinquere di stampo mafioso, una serie di estorsioni ai danni di imprenditori,  episodi traffico d’armi,  anche gli omicidi. In particolare è stata fatta luce sull’omicidio di Vincenzo Torcasio, all’epoca reggente dell’omonima cosca, ucciso nel maggio del 2003 davanti al commissariato di Lamezia Terme: il presunto killer, Gennaro Pulice, è stato arrestato in provincia di Alessandria.

La mafia imprenditrice
Nell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip del Tribunale di Catanzaro Domenico Commodaro su richiesta del pm distrettuale Elio Romano viene ricostruita la temibile consorteria criminale dei Iannazzo, individuando i ruoli di vertice del sodalizio :Vincenzino Iannazzo detto “Il Moretto”, Pietro Iannazzo, Francesco Iannazzo detto “Cafarone” e le alleanze costituite nel corso degli anni con le cosche Giampà e Nannizzaro – Da Ponte. Il capocosca Vincenzino Iannazzo, tramite alcuni indagati, che fungevano da prestanome, gestiva direttamente due aziende lametine, la Tirrena costruzioni srl e Cascina della Bontà, determinandone di fatto le scelte aziendali pur non risultando tra i soci.

La mancata realizzazione del Lidl 
Nel corso delle indagini è emersa la vicenda della mancata realizzazione di un centro commerciale della nota catena Lidl a Lamezia Terme, in località Savutano, area sotto il dominio della cosca Iannazzo. In particolare Pietro Iannazzo, 40enne e Caludio Scardamaglia, 43nne, entrambi raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare avrebbero dapprima costretto gli operai della ditta  che si stava occupando dei lavori di sbancamento del terreno per la realizzazione del supermercato ad abbandonare i lavori e poi con minaccia aggravata dal metodo mafioso, avevano indotto l’imprenditore aggiudicatario dei lavori di abbandonare l’iniziativa imprenditoriale sul terreno in questione che successivamente viene ceduto proprio a Scardamaglia.

Il collegio difensivo
Compaiono i nomi, tra gli altri, degli avvocati Vincenzo Cicino, Giovanni Merante per delega del legale Giancarlo Pittelli, Francesco Gambardella, Peppe Fonte, Salvatore Staiano, Lucio Canzoniere, Antonio Larussa, Michele Cerminara, Renzo Andricciola

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