Politica

Salerno-Reggio Calabria: l’A3, il ruolo di Mancini e le polemiche

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L’autostrada Salerno-Reggio Calabria resta legata, nel bene e nel male, a Giacomo Mancini, ex segretario del Psi nonché ministro dei Lavori Pubblici negli anni Sessanta del secolo scorso. Nel bene, perché l’impulso del leader socialista, morto nel 2002, all’avvio dei lavori fu innegabile, nel male per via delle polemiche scaturite dalla scelta di optare per un tracciato che, anche dopo i lavori ammodernamento, percorre rilievi altissimi fra Calabria e Basilicata e per la feroce campagna di stampa che l’estrema destra scatenò contro l’opera, addita come strumento di clientela e di corruzione.

a3_nocera_terineseIl ricordo del figlio. Pietro Mancini, giornalista, figlio del leader socialista, ripercorre quegli anni. “Nel 1964 – ricorda – il governo di centro-sinistra Moro-Nenni, con ai Lavori Pubblici un ministro calabrese, il socialista Giacomo Mancini, decise di finanziare la costruzione di un’autostrada, che collegasse il resto dell’Italia alla Calabria, regione fino a quel momento considerata “l’Isola nella Penisola” o “la terza Isola”, perché gli aspri rilievi montuosi non permettevano di raggiungerla facilmente. L’autostrada fu completata nel 1972 – ricorda – 8 anni dopo l’avvio dei lavori, benché il tracciato prevedesse un territorio, geologicamente, complesso – per la scelta, strategica, dei progettisti e non certo sulla base di indimostrabili esigenze “clientelari”- e dovette superare le catene montuose del Pollino e della Sila, per interrompere l’isolamento, va sottolineato, di molti comuni, calabresi e lucani”.

foto-mancini-1-e1454317352975La scelta. “Per accelerare i lavori e impedire che l’autostrada si fermasse a Eboli, come Cristo nel libro di Carlo Levi (1902-1975) – dice ancora il figlio Pietro – il ministro Mancini superò le resistenze burocratiche, licenziando l’allora potente direttore generale dell’Anas, Giuseppe Rinaldi. Una dimostrazione, concreta, che, quando esiste la volontà politica, il Mezzogiorno non è destinato, a causa del destino, cinico e baro, a restare un cimitero di opere incompiute o ad attendere lustri, per interminabili quanti sterili discussioni, prima di vedere lo sviluppo e la modernizzazione, grazie a importanti infrastrutture. Se i tanti successori di Mancini – spiega – non manifestarono le stesse capacità, nel fornire ai tecnici le indicazioni politiche più opportune, e l’autostrada, da miracolo di ingegneria – con imponenti viadotti, in primis il viadotto Italia- ed esempio di esecuzione in tempi brevi, si è trasformata in un disastro di incuria e di abbandono, sarebbe, forse, opportuno chiamare in causa le responsabilità e le omissioni dei ministri, succedutisi nei decenni, trascorsi dal lontano 1972, alla guida del dicastero di Porta Pia”.

giacomo-manciniLe polemiche. Pietro rievoca anche la pagina dolorosa degli attacchi subiti da suo padre. “Giacomo Mancini – dice – anche per aver dimostrato, in quella come in altre vicende, grinta, decisionismo e volontà di non narrare ma di fare fu bersaglio di accuse false e diffamatorie. Che vennero montate dalla stampa di estrema destra – come hanno documentato stimati storici- ed utilizzate, anche da alcuni suoi “compagni”, per danneggiare, politicamente, un leader molto scomodo e avversato dai “poteri forti” dell’epoca”. L’opera fu avviata nel 1962 alla presenza dell’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani e completata nel 1974 con l’apertura al traffico degli ultimi tratti.