Cronaca

Operazione “Conquista”: così i carabinieri hanno preso Domenico Bonavota

I militari della stazione di Sant’Onofrio hanno individuato il covo del latitante che ha provato a fuggire sui tetti delle abitazioni del centro storico. Adesso è caccia al fratello Nicola

di MIMMO FAMULARO

Si era reso irreperibile dallo scorso mese di settembre, violando le prescrizioni di sorveglianza speciale. Sapeva che, prima o poi, i carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia, guidati dal capitano Valerio Palmieri, avrebbero bussato alla porta di casa e, anche per questo, ha preferito far perdere le proprie tracce. La nuova latitanza di Domenico Bonavota, 37 anni, di Sant’Onofrio, è durata pochissimo. Martedì sera è stato il primo a finire in manette nell’ambito dell’operazione “Conquista” che ha “decapitato” i vertici dell’omonima cosca.

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Il blitz. I militari della Stazione di Sant’Onofrio sono riusciti ad individuare il covo del boss che dal suo paese non si era mai allontanato mettendo fine al periodo di clandestinità. Il blitz è scattato quindi all’ora di cena con l’ausilio dei carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Vibo Valentia. Una ventina di uomini in tutto che hanno cinto d’assedio il rione Cuntura, centro storico ed enclave quasi inespugnabile di un paese che è il feudo di una delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti del Vibonese. Domenico Bonavota si trovava qui, in un’abitazione di via Olimpia, insieme a Giovanni Lopreiato, 54 anni, pure lui di Sant’Onofrio, arrestato e rimesso in libertà dopo la convalida del fermo (LEGGI QUI).

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“Non sparate”. Al momento dell’irruzione dei militari, Bonavota ha provato a fuggire tentando di dileguarsi attraverso i tetti delle case vicine. Tentativo maldestro ed inutile perché il 37enne è stato ugualmente bloccato dai carabinieri ai quali ha gridato, un attimo prima della resa definitiva: “Non sparate”. La sua corsa è dunque finita in via Olimpia, a pochi passi da via Tre Croci dove il 12 luglio del 2004 è stato trucidato a colpi di kalashinokov e fucile Domenico Di Leo, braccio armato del clan. Secondo l’accusa, Domenico Bonavota, ritenuto il capo dell’ala militare, fu uno dei mandanti dell’omicidio, eseguito materialmente da Andrea Mantella, Francesco Scrugli (deceduto) e Francesco Fortuna, quest’ultimo, insieme a Onofrio Barbieri, braccio destro del boss, anche lui allontanatosi volontariamente dalla propria abitazione temendo, evidentemente, di essere arrestato. A Bonavota viene contestato anche un altro delitto, quello di Raffaele Cracolici, detto Lele Palermo, freddato in un agguato a Pizzo il 4 maggio del 2004, pochi mesi prima dell’agguato che costò la vita a Di Leo. In quell’occasione, secondo le ricostruzioni dei carabinieri, Bonavota partecipò anche alle fasi dall’omicidio osservando con il binocolo gli spostamenti della vittima insieme ad Andrea Mantella (LEGGI QUI).

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Irreperibile. La sua cattura ha caratterizzato la prima parte del blitz che è proseguito poi all’alba con l’ausilio anche dello Squadrone dei Cacciatori di Vibo Valentia. All’arresto è sfuggito Nicola Bonavota, 40 anni, che si è reso irreperibile e ora è attivamente ricercato dai carabinieri. Manca solo lui all’appello per chiudere il cerchio.

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