Cronaca

‘Ndrangheta: il profilo del boss di Vibo Carmelo Lo Bianco (“Sicarro”), dai sequestri al carcere

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Deceduto in ospedale a Catanzaro, il 71enne aveva scontato la pena per riciclaggio di denaro proveniente da due sequestri di persona ed era stato condannato per associazione mafiosa

Rappresentava il vertice di una delle due articolazioni in cui da sempre è “diviso” il clan Lo Bianco di Vibo Valentia: da una parte il “fondatore” dell’omonima cosca Carmelo Lo Bianco (cl. ’32), alias “Piccinni” o “U Formaggiaru”, così chiamato per la bancarella con cui vendeva formaggi nei locali del mercato coperto di Vibo (morto nel marzo 2014 in ospedale a Parma all’età di 82 anni), e dall’altro lato il boss, deceduto nella tarda serata di ieri, Carmelo Lo Bianco (cl. ’45), alias ” U Sicarro” o “Bocchino” per l’abitudine di portare sempre in bocca un sigaro. Cugini di primo grado (figli di due fratelli), hanno rappresentato dalla fine degli anni ’70 il “volto” della ‘ndrangheta nella città di Vibo Valentia.

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Almeno da quando erano riusciti a ridimensionare il potere mafioso che per tutti gli anni ’60 e ’70 ha esercitato sulla città di Vibo Valentia la “famiglia” Pardea, la prima ad introdurre nel dopoguerra le regole mafiose sul futuro capoluogo di provincia, arrivando ad interessarsi anche del trasporto di idrocarburi e della gestione diretta di pompe di benzina realizzate – con tanto di autorizzazione da parte di politici vibonesi destinati poi a carriere che hanno varcato gli stretti confini provinciali – in punti della città che il Piano regolatore destinava a strade pubbliche. Deceduto nel 1977 a Vibo Valentia, all’età di 78 anni, Antonio Zoccali, vecchio patriarca della ‘ndrangheta originario di Santo Stefano d’Aspromonte, che era stato inviato a Vibo durante il periodo fascista per scontare il soggiorno obbligato, venne meno da quell’anno anche il punto di equilibrio raggiunto fra i Pardea ed i Lo Bianco, con il definitivo sopravvento dei secondi sui primi i quali (i Pardea) nel frattempo erano rimasti “impigliati” in diversi guai giudiziari.

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C. Lo Bianco, Sicarro

Carmelo Lo Bianco

C. Lo Bianco, Piccinni

La figura di “Sicarro”. E’ negli anni ’80 che crescono così le parallele figure mafiose degli omonimi cugini Carmelo Lo Bianco, ovvero “Piccinni” e “Sicarro”. Figure ricostruite nell’inchiesta “Nuova Alba” della Dda di Catanzaro e della Squadra Mobile di Vibo che, nel febbraio 2007, ha colpito quasi per intero il clan Lo Bianco. Al termine dei processi, Carmelo Lo Bianco, “Sicarro”, è stato condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa, riconosciuto quale vertice indiscusso dell’omonimo gruppo inserito all’interno dell’unica cosca dei Lo Bianco. Secondo le risultanze investigative dell’operazione “Nuova Alba”, proprio Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”, era stato designato poco prima della retata del febbraio 2007 quale nuovo capo dell’intera cosca al posto del cugino Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni”, deciso a mettersi da parte. Un proposito poi sfumato per via degli arresti del 2007, ma che doveva servire per ripianare gli attriti ed i contrasti fra i due omonimi cugini.

Carmelo Lo Bianco

La pace all’interno del clan. Nonostante la sorveglianza speciale alla quale entrambi erano sottoposti, i due cugini omonimi riuscirono ad incontrarsi, a “chiarirsi” ed a parlarsi nel 2006, individuando anche la persona che avrebbe tentato di farli scontrare fra loro: il nipote Leoluca Lo Bianco, alias “U Rozzu”, stando alle risultanze investigative dell’operazione Nuova Alba. “Per fortuna che abbiamo una testa sulla spalle – dicevano i due omonimi Carmelo Lo Bianco intercettati dalla Squadra Mobile di Vibo – altrimenti ci saremmo scannati sangue con sangue e tutto per colpa di U Rozzu che vuole il bastone del comando”. Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”, secondo quanto dallo stesso raccontato nelle intercettazioni, una volta fatta pace con il cugino Carmelo, alias “Piccini”, avrebbe desistito dal compiere azioni violente nei confronti del nipote Leoluca solo “per non dare un dispiacere alla sorella ed all’altro fratello di Leoluca, ovvero Nazzareno lo Bianco”. Nel 2005, Carmelo Lo Bianco finisce in un troncone dell’operazione “Ricatto” condotta dall’allora pm della Procura di Vibo Valentia, Giuseppe Lombardo (oggi pm di punta della Dda di Reggio Calabria) e dall’allora comandante della Stazione dei carabinieri di Vibo, Nazzareno Lopreiato. “Sicarro” viene accusato di concussione unitamente ad un dipendente dell’Asp di Vibo per aver preteso una barca e del denaro da un imprenditore di Pizzo Calabro in cambio  del “via libera” a delle liquidazioni per dei lavori edili eseguiti per conto dell’Azienda sanitaria vibonese. Il Tribunale di Vibo Valentia, presieduto all’epoca dal giudice Giancarlo Bianchi, nel 2009 riqualifica il reato in quello più grave di estorsione trasmettendo gli atti alla Procura di Vibo ed al pm Fabrizio Garofalo. Trasferito anche Garofalo in altra sede, la Procura di Vibo non ha però più esercitato l’azione penale per tale vicenda, rimasta a “dormire” nei cassetti di qualche pm nonostante la riqualificazione dei reati da parte del Tribunale.

pistola e soldi

I legami con il Reggino e la visione imprenditoriale del boss. E’ lo stesso Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”, a spiegare nelle intercettazioni la sua visione degli affari. Mai strozzare troppo i commercianti, mai chiedere mazzette su mazzette e, soprattutto, mai farsi odiare dalla popolazione locale, altrimenti “nessuno viene più ad investire su Vibo e il denaro non gira neanche per noi”. Una “filosofia” mafiosa in contrasto con quella di altri componenti del clan – rappresentati dall’articolazione capeggiata dall’omonimo cugino e non solo da questa – e che avrebbe permesso a “Sicarro” di mettere le “mani” su piccoli e grandi appalti in città (come l’impianto dei termosifoni in molti uffici pubblici o la costruzione del nuovo ospedale) ed a stringere amicizie con professionisti, imprenditori e diversi medici dell’ospedale di Vibo. E’ lo stesso Carmelo Lo Bianco a vantarsene quando, commentando il matrimonio di una delle proprie figlie e sminuendo al tempo stesso quello di Franco Barba al quale fra i mafiosi di “rango” presenti alla cerimonia ci sarebbe stato solo “Tonino La Rosa di Tropea”, elenca gli invitati: “C’erano dai medici agli ingegneri, agli imprenditori sino ai più grandi uomini del “crimine” della Calabria,ce ne stava dei Piromalli, dei Mazzaferro, Alvaro, tutti c’erano”. L’interlocutore di Carmelo Lo Bianco, ovvero Paolo D’Elia (cl. ’29), originario di Seminara e trasferitosi a Vibo per sfuggire ad una faida – personaggio che avrebbe cercato di riappacificare i due gruppi dei Lo Bianco – non è da meno e nei dialoghi intercettati conferma la caratura mafiosa dei due boss omonimi: “Quanto vale uno, vale l’altro”, avrebbe rimarcato il vecchio patriarca.

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I sequestri di persona e la scomparsa del figlio di “Sicarro”. Nei primi anni ’90 per Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”, arrivano i guai seri con la giustizia. Viene arrestato, processato e condannato per riciclaggio di denaro proveniente da due sequestri di persona compiuti nel Reggino negli anni ’90. Gli vengono trovate le banconote “segnate” dagli investigatori ed utilizzate per pagare i sequestratori. Viene rinchiuso nel carcere di Spoleto e, proprio nel corso della detenzione, a metà anni ’90 scompare nel nulla il figlio Nicola, di appena 28 anni, titolare di una ditta di termoidraulica nella zona di Maierato. Una scomparsa sulla quale non è mai stata fatta luce e che ha portato “Sicarro”, una volta scarcerato nei primi anni del 2000, a prendere le distanze dai cugini. Il fuoristrada di Nicola Lo Bianco è stato infatti ritrovato intatto dai familiari nei pressi della biblioteca comunale di Vibo Valentia, in una zona dove abitano altri componenti della “famiglia” Lo Bianco.

soldi, mafia

Nessuno ha però visto nulla e neanche l’ipotesi che personaggi del Reggino abbiano voluto far sparire Nicola Lo Bianco per punire “Sicarro” per uno sgarbo per una partita di droga non pagata, ha mai trovato riscontri. Con il decesso dei due omonimi cugini, Carmelo Lo Bianco “Piccinni” prima, e Carmelo Lo Bianco “Sicarro” ora, a Vibo Valentia si chiude un’epoca. Molti dei segreti inconfessabili, i due boss se li sono portati probabilmente nella tomba. Per altri – dopo la decisione di collaborare con la giustizia da parte di Andrea Mantella, soggetto di vertice del clan Lo Bianco – a Vibo sono in molti ad aver iniziato a preoccuparsi seriamente. (g.b.)

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