‘Ndrangheta, le rivelazioni di Andrea Mantella: “Così abbiamo ucciso Di Leo”

Il neo collaboratore di giustizia svela i mandanti e gli esecutori dell'omicidio di "Micu u Catalanu", trucidato il 12 luglio 2004 a Sant'Onofrio da un commando 

di GIUSEPPE BAGLIVO

E' una corsa contro il tempo quella del pm della Dda di Catanzaro, Camillo Falvo, e degli investigatori dell'Arma che hanno preso a verbale il nuovo collaboratore di giustizia vibonese Andrea Mantella che con le sue dichiarazioni sta gettando un "fascio di luce" su diversi omicidi di 'ndrangheta rimasti sinora impuniti.

Camillo Falvo

Da un lato la necessità di raccogliere e verbalizzare, nei 180 giorni che la legge mette a disposizione per i collaboratori di giustizia, più particolari possibili in ordine a diversi fatti delittuosi dei quali Andrea Mantella si è autoaccusato chiamando in causa anche i complici, dall'altro lato la necessità per gli inquirenti di "bruciare" i tempi per evitare probabili fughe da parte di pericolosi criminali i cui nominativi escono per forza di cose fuori con il deposito di alcuni verbali nei processi già in corso al fine di rafforzare l'impalcatura accusatoria.

L'omicidio di Domenico Di Leo. Dal 14 gennaio scorso si trova in carcere per tale delitto Francesco Fortuna, 36 anni, di Sant'Onofrio, ritenuto uno dei killer che la notte del 12 luglio 2004 ha ucciso Domenico Di Leo, detto “Micu u Catalanu”, ritenuto elemento di spicco del clan Bonavota ed eliminato – secondo gli inquirenti – dalle nuove giovani leve della cosca che mal avrebbero digerito la presenza sul territorio di un personaggio considerato “scomodo” e capace di fare “ombra” a molti esponenti della storica ‘ndrina di Sant’Onofrio. Ad "incastrare" Fortuna, secondo le indagini biologiche, sarebbero le tracce di Dna trovate su quattro guanti in lattice rinvenuti dagli investigatori. Le analisi hanno consentito di isolare un campione di Dna che, comparato con il profilo genotipo dell’indagato, ha dato “completa sovrapponibilità".

Andrea Mantella

Le dichiarazioni di Andrea Mantella. Interrogato il 4 maggio scorso dal pm, Camillo Falvo, e dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia, il neo collaboratore di giustizia spiega agli inquirenti di aver partecipato in prima persona alle fasi preparatorie dell'omicidio di Domenico Di Leo e di aver personalmente guidato l'auto con a bordo i killer che hanno poi aperto il fuoco contro la vittima designata, indicati in: Francesco Fortuna e Francesco Scrugli. "Pure io ero armato con una pistola - ha dichiarato Mantella - ma non l'ho però usata. Francesco Fortuna era armato con un kalashnikov, mentre Francesco Scrugli aveva in mano un fucile. Entrambi indossavano dei guanti in lattice, io invece indossavo solo dei guanti da muratore, non avevo bisogno dei guanti in lattice - sottolinea Mantella - perchè dovevo solamente tenere il volante in mano e praticamente non dovevo sparare, salvo qualche arma si inceppasse". Il commando con a bordo Mantella, Francesco Scrugli e Francesco Fortuna si sarebbe appostato vicino la casa di Domenico Di Leo e, dopo aver tranciato il lucchetto di un cancello a ridosso della strada, avrebbe parcheggiato l'auto nei pressi di una casa vecchia e abbandonata. "Domenico Di Leo era al bar - racconta Mantella - e, dopo esserci appostati, Francesco Scrugli e Francesco Fortuna si sono messi a fumare sigarette Merit", avendo però l'accortezza di non buttare fuori dall'auto le cicche per evitare ritrovamenti e possibili comparazioni di Dna da parte degli investigatori, ma portandosele dietro ed addirittura "in tasca schiacciandole nel pacchetto".

La pioggia di fuoco scaricata su "Micu i Catalanu". "Praticamente la microcar di Domenico Di Leo - spiega Mantella al pm ed ai carabinieri - era inconfondibile perchè faceva un rumore simile ad un trattore. Appena Di Leo fu vicino alla nostra auto gli sbucarono davanti Fortuna con il kalashnikov e Scrugli con il fucile, iniziando a sparare all'impazzata. Scrugli e Fortuna - afferma Mantella - erano proprio degli assassini". Lo stesso Scrugli troverà poi la morte nel marzo del 2012 a Vibo Marina ucciso da killer stranieri assoldati dal clan Patania nell'ambito della faida con il clan dei "Piscopisani" (dal nome della frazione Piscopio del comune di Vibo Valentia).

Francesco Fortuna

I moventi dell'omicidio. Andrea Mantella è in grado di svelare agli inquirenti anche le motivazioni alla base del grave fatto di sangue. "Domenico Di Leo - dichiara il collaboratore di giustizia - aveva mire espansionistiche ed ai tempi della guerra di mafia fra i Bonavota contro i Petrolo-Bartalotta-Matina era un azionista del gruppo Bonavota", guidato all'epoca da Vincenzo Bonavota, padre di Pasquale e Domenico Bonavota. Un tipo, Domenico Di Leo, definito come "pericoloso" da Andrea Mantella, tanto da essere capace di "alzare la voce" pure nei confronti di Francesco Fortuna. Diversi i moventi alla base dell'omicidio indicati da Andrea Mantella: da un lato una relazione sentimentale da parte di uno dei vertici della "famiglia" Bonavota con una parente dello stesso Domenico Di Leo; quindi la volontà di Di Leo di prendere la supremazia sui Bonavota e realizzare un autolavaggio al centro commerciale di Maierato che si trovava sotto il controllo degli stessi Bonavota; infine la possibilità data dal proprietario del centro commerciale di realizzare un solo fabbricato da adibire o per un autolavaggio, così come voleva Bruno Di Leo che era interessato in tal senso, oppure per "un chiosco bar che interessava invece a Domenico Bonavota, Domenico Cugliari detto "Micu i Mela" e Francesco Fortuna che avevano già iniziato i lavori". Andrea Mantella afferma di non ricordare il nome di tale proprietario che aveva dato la possibilità a Bonavota, Cugliari e Fortuna di iniziare a realizzare il bar "ma è il proprietario dell'Euronics - fa mettere a verbale il collaboratore - e lo stesso mangiava a casa dei Bonavota così come lo faceva pure Aiello che aveva un negozio di abbigliamento a Lamezia ed anche altri".

Francesco Scrugli

La bomba alla concessionaria De Fina. Il collaboratore di giustizia racconta poi che una mattina Domenico Di Leo mandò via dal centro commerciale di Maierato gli operai che stavano lavorando alla realizzazione del bar "per conto di Domenico Bonavota e famiglia". Quindi lo scoppio di un ordigno ad alto potenziale che distrusse in quello stesso periodo la concessionaria di auto di De Fina posta nei pressi dello svincolo autostradale di Sant'Onofrio. "Non so chi abbia messo la bomba - dichiara Mantella - ma so che i Bonavota dissero che era stato Di Leo, chiamandolo "cornuto". Questo lo dissero Nicola Bonavota - spiega il collaboratore - che aveva interessi economici in quell'autosalone, Domenico Bonavota e Domenico Cugliari detto Micu i Mela".

La preparazione dell'agguato. Quindi gli incontri di Mantella nella "masseria dei Bonavota, avendo l'accortezza di parlare sempre fuori dal paese "e staccando le batterie dei cellulari". In tale occasione sarebbe stato spiegato ad Andrea Mantella e Francesco Scrugli che di "Domenico Di Leo non se ne poteva più e bisognava farlo fuori". Poi l'agguato e la pioggia di fuoco scaricata sulla vittima da Francesco Scrugli e Francesco Fortuna. "Perchè Fortuna e Scrugli erano proprio degli assassini". Parola di Andrea Mantella.

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