Cronaca

I calabresi che catturarono Bernardo Provenzano: il racconto di Nino De Santis

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Furono Renato Cortese e Giuseppe Gualtieri a dirigere le indagini che portarono all’individuazione del covo del boss. Il capo della Mobile di Catanzaro esaminò i pizzinni

E’ una storia in parte calabrese quella che inizia e finisce l’11 aprile del 2006 su un rilievo calcareo denominato “Montagna dei Cavalli” nei pressi di Corleone a Palermo, passato alla storia per essere il luogo in cui il boss Bernardo Provenzano trascorse gli ultimi anni della latitanza. Ed è lì, infatti, che gli uomini della Squadra mobile di Palermo e dello Sco di Roma individuarono il capo di Cosa Nostra l’11 aprile del 2006. Del famoso “gruppo Duomo”, che individuò il covo del boss, hanno fatto parte anche due superpoliziotti calabresi, il crotonese di Santa Severina Renato Cortese (attuale capo dello Sco, il Servizio centrale operativo della Polizia ed ex capo della Squadra mobile di Reggio Calabria e Roma) e il catanzarese Giuseppe Gualtieri (questore di Potenza ed ex capo della Mobile di Palermo e, prima ancora, di Vibo Valentia). Un ruolo importante lo recitò anche l’attuale capo della Squadra mobile di Catanzaro Nino De Santis (nella foto sotto), che però non partecipò attivamente all’operazione di Polizia che condusse all’arresto di Bernardo Provenzano ma, nel ruolo di Capo sezione della Criminalità organizzata della Squadra mobile di Palermo, ebbe accesso e studiò i documenti rinvenuti nel covo del boss.

nino de santis

Nino De Santis

I pizzini. “La cattura di Bernardo Provenzano – spiega a Zoom24 Nino De Santis – è stata senz’altro un momento fondamentale della lotta a cosa nostra. Il merito va attribuito ai colleghi del gruppo Duomo che guidati da Renato Cortese arrivarono alla sua individuazione e cattura a “Montagna dei Cavalli”. Fu importantissima la cattura di Bernardo Provenzano non solo per il fatto in sé di assicurare alla giustizia un latitante che si sottraeva alle investigazioni da più di quarant’anni ma soprattutto per il fatto che in quell’occasione vennero rinvenuti e sequestrati un consistente numero dei cosiddetti “pizzini”, i messaggi scritti che Provenzano utilizzava per corrispondere con altri mafiosi in tutta la Sicilia. E questa corrispondenza così fitta, così importante, così densa di significati, per come fu decriptata nel corso delle investigazioni, indicavano che in quel momento Bernardo Provenzano era senz’altro il capo operativo al quale da tutta la Sicilia arrivavano indicazioni, richieste, domande inerenti la gestione di Cosa nostra. Si trattava di messaggi criptati ed era impossibile comprendere, a chi non avesse effettuato uno studio approfondito, a chi fossero destinati e chi fossero gli autori. Ciascuno era costituito da un codice numerico e solo all’esito di esami e comparazioni dei contenuti riuscimmo man mano a identificarli nella sua quasi totalità. Incrociando i dati che derivavano da decine di investigazioni e di procedimenti penali che nel tempo erano stati condotti in tutta la Sicilia e nei quali potevano essere rinvenute le tracce di ciò che Provenzano scriveva nei “pizzini”.

Bernardo-ProvenzanoIl covo. De Santis ebbe l’occasione di vedere e incontrare Bernando Provenzano subito dopo la sua cattura e l’occasione anche di entrare nel casolare di “Montagna dei Cavalli” dopo la cattura. “Devo dire – racconta il capo della Mobile di Catanzaro – che dal mio punto di vista fui sorpreso dall’apparente profilo basso del personaggio che contrastava sostanzialmente e in maniera stridente con la rilevanza delle questioni che attraverso le sue decisioni passavano in quel momento. No mi sorprese la presenza di immagini sacre perché questa è una tradizione abbastanza diffusa presso i mafiosi. Scambiai appena un paio di frasi quando venne portato negli uffici della polizia a Palermo e nulla che avesse rilevanza investigativa. E anche il tono della voce mi apparse basso e così completamente fuori luogo rispetto al ruolo che in quel momento rivestiva. Solo ripensando all’efferatezza delle azioni criminali di cui si era reso responsabile negli anni non era possibile catalogare bene l’individuo, che se non si avesse avuto contezza della sua storia personale sarebbe apparso come un innocuo signore settantenne e anche abbastanza acciaccato”.

L’arrivo al commissariato. “Questa fu la più emozionante delle cose che accaddero quel giorno. Questa – sottolinea De Santis – certamente è stata una straordinaria esperienza: vedere finalmente un popolo che inneggiava la polizia e urlava contro il capo di Cosa nostra catturato dallo Stato fu una sensazione di straordinaria pienezza e di una fierezza assoluta di appartenere alla polizia di Stato che aveva conseguito quello straordinario risultato. È una cosa che ciascuno di coloro che era presente quel giorno si porterà dentro per tutta la propria carriera”.

La bibbia. All’interno del casolare, i poliziotti rinvennero anche una bibbia, piena di sottolineature e chiose. “La Bibbia – dice De Santis – fu sottoposta a mille analisi da parte di eminenti studiosi e non si rilevò alcuna particolare indicazione o significato delle diverse sottolineature che devono ascriversi salvo nuove e suggestive, ma sempre possibili interpretazioni, ad una semplice preferenze per l’uno o per l’altro passo di chi nel tempo l’aveva letta”. (l.c.)