Cronaca

‘Ndrangheta: sentenza processo “Crimine”, i legami fra i reggini ed i vibonesi

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La Cassazione certifica per la prima volta in via definitiva l’esistenza di tre “locali” mafiosi nel Vibonese strettamente collegati alla “Provincia” di Reggio Calabria

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di GIUSEPPE BAGLIVO

Getta in maniera definitiva un fascio di luce anche sui legami mafiosi sviluppatisi nell’ultimo decennio fra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia la sentenza nata dall’operazione “Crimine” che ieri ha superato per la gran parte delle posizioni il vaglio della Cassazione.

Domenico Oppedisano

Domenico Oppedisano

E’ infatti definitivamente provata l’esistenza di tre “locali” di ‘ndrangheta attivi nel Vibonese: quello di Ariola di Gerocarne, al cui vertice viene collocato lo storico boss Antonio Altamura (che in primo grado era stato assolto), quello di Piscopio (frazione di Vibo Valentia) nel quale un ruolo di primo piano svolgerebbe Giuseppe Salvatore Galati, detto “Pino”, ed il locale di “Cassari di Nardodipace” che sarebbe capeggiato da Rocco Tassone e che ha visto la condanna del nipote Damiano Ilario Tassone. Sono altresì provati i legami con la “Provincia”, struttura di ‘ndrangheta sovraordinata ai singoli “locali” e che oltre all’intera provincia di Reggio Calabria include pure gran parte del Vibonese. La sentenza assume una portata storica dal punto di vista giudiziario e l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, scattata nel luglio del 2010, arriva a certificare per la prima volta – e ben prima della Dda di Catanzaro competente sul Vibonese – l’operatività delle tre “società” di ‘ndrangheta di cui si è occupata l’indagine, attive in provincia di Vibo Valentia unitamente ad altri “locali”.

Giuseppe Salvatore Galati

Giuseppe Salvatore Galati

Sono state le intercettazioni ambientali a permettere agli inquirenti di “fotografare” gli stretti legami fra i vibonesi ed i reggini, consolidati anche dalla partecipazione ad alcuni matrimoni trasformati poi in vere e proprie “riunioni di ‘ndrangheta”. Salvatore Giuseppe Galati, 52 anni (condannato a 4 anni ed 8 mesi per associazione mafiosa), secondo l’accusa avrebbe infatti partecipato insieme a Francesco D’Onofrio, di Mileto, residente in provincia di Torino, al matrimonio di Elisa Pelle, figlia del boss Giuseppe, detto “Gambazza”, di San Luca, al quale, stando ai dialoghi intercettati, avrebbe preso parte anche il boss Rocco Aquino di Marina di Gioiosa Jonica. La carica di “santista”, secondo gli inquirenti, sarebbe però stata attribuita a Salvatore Giuseppe Galati in occasione del matrimonio dell’allora 26enne Michele Fiorillo di Piscopio (che ha scelto il rito ordinario), al quale avrebbero partecipato “personaggi” del calibro di Giuseppe Commisso di Siderno e Rocco Aquino, oltre a rappresentanti delle “famiglie” Pelle e Giorgi di San Luca.

COMMISSO-GIUSEPPE

Giuseppe Commisso

Ma dagli atti emerge che per Salvatore Giuseppe Galati sarebbe stato pronto anche il conferimento della carica di “Padrino” in occasione di un altro incontro – organizzato appositamente – nella casa di Giuseppe Pelle. Tutto sarebbe però stato rinviato. Per l’accusa ed ora la sentenza definitiva, Salvatore Giuseppe Galati il 13 febbraio 2010 avrebbe inoltre preso parte ad un summit di ‘ndrangheta a Bovalino. Nei suoi confronti, l’allora procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri (ora al vertice della Procura di Catanzaro), aveva chiesto in primo grado una condanna a 14 anni di reclusione.

Damiano Tassone

Damiano Tassone

Damiano Tassone, 30 anni, condannato a 4 anni e 8 mesi per associazione mafiosa, viene invece indicatocome un “partecipe attivo del “locale” di Cassari di Nardodipace” ed avrebbe assicurato – secondo l’accusa ed ora la sentenza – la comunicazione fra gli associati, agendo sotto le direttive dello zio Rocco Tassone per il quale il processo è ancora in corso con il rito ordinario. I Tassone, inoltre, avrebbero mantenuto solidi legami con Giuseppe Commisso, a capo della struttura di ‘ndrangheta denominata “Provincia”, tanto che Damiano Tassone – per come emerge dalle intercettazioni ambientali – sarebbe andato a trovare il boss della Jonica reggina nella sua lavanderia “Apegreen” di Siderno per chiedergli consigli dopo alcuni contrasti avuti con lo zio, Rocco Tassone, a causa di un mancato saluto ad alcuni “personaggi” di Fabrizia che stavano festeggiando una ricorrenza in un ristorante di Cassari.

Antonio Altamura

Antonio Altamura

Antonio Altamura, 70 anni, di Ariola di Gerocarne (Vv), è stato condannato a 4 anni ed 8 mesi per associazione mafiosa. E’ stato ritenuto vicino a Domenico Oppedisano di Rosarno, “capo crimine” e per un certo lasso temporale “custode delle regole” dell’intera organizzazione criminale calabrese. Grazie all’intervento del boss Giuseppe Pelle di San Luca e poi di Oppedisano, ad Altamura veniva contestato di aver ricevuto il grado della “Santa”, nonostante le resistenze alla sua “promozione” da parte di alcuni personaggi di Gioia Tauro. Il grado, grazie all’intervento di Oppedisano, sarebbe stato poi effettivamente conferito. Antonio Altamura è stato condannato per associazione mafiosa a 16 anni anche dal Tribunale di Vibo Valentia nell’ambito del processo nato dall’operazione “Luce nei boschi”. E’ in corso il processo d’appello a Catanzaro.

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