Cronaca

Processo al clan Patania: “scontro” nell’Arma, carabinieri contro carabinieri

tribunale-nuovo-vibo-valentia.jpg

A deporre oggi dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia sono stati il maresciallo Maria Antonella Caolo ed il carabiniere Benedetto Russo

[banner no]

di GIUSEPPE BAGLIVO

Nuova udienza oggi del processo nato dall’operazione antimafia denominata “Romanzo criminale” che si sta svolgendo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (presidente Lucia Monaco, giudici a latere Vincenzo Papagno e Giovanna Taricco) e che vede imputati diversi componenti della “famiglia” Patania di Stefanaconi. Un’udienza tutta incentrata, oltre che sulle modalità di registrazione delle denunce nell’apposito protocollo cartaceo ed informatico, sui rapporti all’interno dei carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia e fra la Stazione dell’Arma di Sant’Onofrio ed il Nucleo investigativo di Vibo. E non sono mancate le “sorprese” ed i “colpi di scena”. Due i testi ascoltati oggi: il carabiniere della Stazione di Sant’Onofrio, Benedetto Russo, ed il maresciallo Maria Antonella Caolo, quest’ultima all’epoca dei fatti in servizio nella Stazione di Sant’Onofrio ed ora in servizio nella Stazione dei carabinieri di Filadelfia.

codice penale

Gli imputati. Ad essere accusati del reato di associazione mafiosa sono: Giuseppina Iacopetta, ritenuta al vertice della cosca dopo l’uccisione del marito, Fortunato Patania, freddato nel settembre 2011 durante la faida con i Piscopisani; i figli Salvatore, Saverio, Giuseppe, Nazzareno e Bruno Patania; Andrea Patania; Cosimo e Caterina Caglioti; Nicola Figliuzzi; Cristian Loielo; Alessandro Bartalotta; Francesco Lo Preiato; Ilya Krastev. L’ex maresciallo dei carabinieri, già alla guida della Stazione di Sant’Onofrio, Sebastiano Cannizzaro, è invece accusato di falso e concorso esterno in associazione mafiosa. Tale ultimo reato viene contestato anche a don Salvatore Santaguida, per anni parroco di Stefanaconi.

carabinieri

La deposizione del maresciallo Caolo. E’ stata in particolare la deposizione del maresciallo Maria Antonella Caolo a svelare i particolari più interessanti in ordine ai rapporti interni nella scala gerarchica dell’Arma nel comprensorio di Vibo Valentia. Il maresciallo, per come ricordato dalla stessa in aula rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Camillo Falvo prima, e poi degli avvocati Pasquale Patanè e Francesco Pagliuso per conto dell’imputato Sebastiano Cannizzaro, ha spiegato di essere attualmente sotto processo per l’ipotesi di reato di falso in ordine ad una relazione di servizio in cui si dava atto di aver consegnato, insieme al maresciallo Sebastiano Cannizzaro, copia di tre denunce sporte da Michele Mario Fiorillo – poi ucciso il 18 settembre 2011 – all’allora comandante del reparto operativo del Comando provinciale dei carabinieri di Vibo, maggiore Vittorio Carrara, alla presenza di ufficiali superiori dell’Arma. Rispondendo sul punto alle domande delle parti, il maresciallo Caolo ha raccontato tanti particolari sulla vicenda, chiamando direttamente in causa i testimoni diretti che – contrariamente a quanto sostenuto nel capo d’imputazione a suo carico – hanno assistito visivamente, secondo quanto dalla stessa riferito in aula, alla consegna delle denunce “nelle mani del maggiore Carrara”. Ma andiamo con ordine.

“Il 18 settembre 2011, la sera dell’omicidio di Fortunato Patania – ha spiegato il maresciallo Caolo in aula – il comandante della Stazione di Sant’Onofrio, Sebastiano Cannizzaro, mi disse che dovevamo andare al comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia per un briefing operativo. Cannizzaro mi disse di andare a prendere le denunce che aveva fatto Michele Mario Fiorillo per pascolo abusivo contro i Patania di Stefanaconi e che si trovavano sulla scrivania del maresciallo Raffaele Comparone, vicecomandante della Stazione ed in quel momento assente. Presi le denunce, per come ordinatomi dal comandante Cannizzaro, le fotocopiai e ci recammo con lo stesso Cannizzaro nell’ufficio a Vibo dell’allora comandante della Compagnia dei carabinieri di Vibo Valentia, capitano Stefano Di Paolo. In quell’ufficio c’erano il maggiore dei carabinieri Vittorio Carrara, il capitano Giovanni Migliavacca e successivamente è arrivato pure il colonnello Giovanni Roccia. Il maggiore Carrara chiese spiegazioni sui fatti fra Sant’Onofrio e Stefanaconi e il comandante Sebastiano Cannizzaro nel corso del briefing gli fece la cronistoria di quello che era il clan Patania, la loro genesi, la loro affermazione criminale sul territorio, descrivendogli poi le loro attività delinquenziali”.

cappello carabinieri

“La consegna delle denunce nelle mani del maggiore Carrara”. Il maresciallo Maria Antonella Caolo ha quindi ribadito per ben tre volte, rispondendo alle domande di accusa e difesa, di aver “consegnato nelle mani del maggiore Vittorio Carrara tutta la documentazione relativa alle denunce di Michele Mario Fiorillo. Nell’accusa a mio carico – ha spiegato il teste – mi si dice che la sera del briefing io non consegnai tali denunce, ma ribadisco di averlo invece fatto io personalmente e di aver consegnato tutto nelle mani del maggiore Carrara alla presenza di Cannizzaro, Di Paolo, Migliavacca e Roccia. A marzo del 2012, quindi, io su ordine del comandante Cannizzaro ho fatto una relazione di servizio su ciò che era successo la sera del briefing. Il comandante Cannizzaro mi disse di fare tale relazione per una sorta di “memoria interna” della Stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio. Io redassi la relazione – ha rimarcato la Caolo – in base a ciò che effettivamente era successo quella sera del briefing. Quelli erano i fatti e ribadisco di aver consegnato tutte le denunce di Michele Mario Fiorillo nelle mani del maggiore Carrara. Finita la relazione su quanto accaduto quella sera, io consegnai la stessa a Cannizzaro”.

carabinieri cappello

L’archiviazione in sede disciplinare per il maresciallo Caolo. Il teste, rispondendo alle domande della difesa di Sebastiano Cannizzaro, ha poi spiegato che nel “procedimento disciplinare” aperto dall’Arma nei suoi confronti dopo il suo rinvio a giudizio con l’accusa di falso in relazione alla consegna delle denunce di Fiorillo al maggiore Carrara, tutto si è concluso con “l’archiviazione”, circostanza e dato di fatto che getta ulteriore “benzina sul fuoco” su quanto accaduto la sera del briefing (o riunione operativa che dir si voglia) e sulle testimonianze divergenti fra appartenenti all’Arma in ordine alla consegna o meno ai superiori delle denunce presentate da Michele Mario Fiorillo alla Stazione di Sant’Onofrio.

Il resto della deposizione: dalle intercettazioni agli attentati a Calafati. Chiuso il “capitolo” sulla trasmissione delle denunce, il maresciallo Caolo ha ricordato che era il comandante  Cannizzaro – proprio per il ruolo di comandante – ad interfacciarsi direttamente con la Dda di Catanzaro per chiedere l’autorizzazione ad eseguire le intercettazioni ambientali e telefoniche. “Seguivamo su disposizione della Dda oltre 30 telefoni intercettati – ha riferito il teste – , la mole era davvero tanta e non riuscivamo a stare dietro a tutto. Infatti in una circostanza il Comando provinciale dei carabinieri, nella persona del comandante Stefano Di Paolo, ci disse oralmente che le Stazioni a causa dell’esiguità degli uomini non dovevano occuparsi delle indagini con intercettazioni e che per tale lavoro vi erano dei reparti dell’Arma a questo appositamente delegati. Ribadisco però che le intercettazioni come Stazione le seguivamo su delega della Dda di Catanzaro”.

“Mai inviti da Cannizzaro a non indagare sui Patania”. Il maresciallo Caolo ha infine rimarcato di non aver “mai ricevuto da Cannizzaro inviti a chiudere un occhio sui Patania e che in un’occasione Francesco Calafati, poi vittima di un tentato omicidio a Stefanaconi nel marzo 2012 nell’ambito della faida contro i Patania, venne convocato da Cannizzaro in caserma per essere avvertito di guardarsi da possibili ulteriori attentati”.

tribunale toga aula

La deposizione del carabiniere Russo e la visita a don Santaguida. Su tale ultima circostanza (attentato a Calafati), prima del maresciallo Caolo ha riferito in aula negli stessi termini anche il carabiniere Benedetto Russo, tuttora in forza alla Stazione di Sant’Onofrio. Il teste ha raccontato che non venne avvisato solo Calafati a stare attento da possibili attentati, ma in generale tutti i carabinieri della Stazione erano stati avvertiti da Cannizzaro a prestare la massima attenzione per la propria incolumità personale in quanto si era nel mezzo di una vera e propria faida fra clan di ‘ndrangheta contrapposti. “Cannizzaro ci disse che probabilmente – ha riferito Russo in aula – l’agguato a Calafati sarebbe stato rifatto e proprio per questo Calafati venne convocato in caserma per dirgli di stare attento”. Dopo due-tre giorni dall’omicidio di Fortunato Patania, il carabiniere insieme a Cannizzaro ha quindi ricordato di essere andato a casa di don Salvatore Santaguida, all’epoca parroco di Stefanaconi, e qui il sacerdote riferendosi all’omicidio di Patania avrebbe riferito a Cannnizzaro tali precise frasi: “Killer di Vibo Marina e Fortuna quale palo per l’omicidio”. “Fortuna chi?” avrebbe chiesto quindi Cannizzaro, con il sacerdote pronto a rispondere: “Fortuna Davide, il figlio del professore Michele”. Si tratta dello stesso Davide Fortuna poi ucciso nel luglio 2012 sulla spiaggia di Vibo Marina nell’ambito della faida fra i Patania ed i Piscopisani e dello stesso Davide Fortuna accusato di aver fatto da “vedetta” e da “basista” per i Piscopisani (gruppo del quale avrebbe fatto parte a pieno titolo) in occasione dell’omicidio di Nato Patania. “Io vedevo don Santaguida – ha raccontato il teste – come una persona vicina all’Arma e per noi carabinieri era anche una figura di conforto morale. Lo stesso sacerdote ogni anno informava anche noi carabinieri sulla lista dei portantini delle statue in occasione dell’Affruntata pasquale al fine di impedire ingerenze da parte della criminalità”.

Fortunato-Patania

L’omicidio Patania ed il mancato dialogo con la polizia. Il carabiniere Russo – dopo aver ricordato che fu lui insieme ad un collega a fermare un’auto con a bordo Daniele Bono ed Alex Loielo e che nell’autovettura vennero trovate delle foto a colori stampate su fogli A4 raffiguranti Francesco Scrugli e Rosario Battaglia (il primo ucciso nel marzo 2012 ed il secondo rimasto ferito nello stesso agguato a Vibo Marina) – ha quindi sottolineato che fu il comandante Cannizzaro “a dirci di sequestrare le foto di Battaglia e Scrugli in quanto erano due soggetti di estremo interesse investigativo”. Gli accertamenti sull’omicidio di Fortunato Patania (in foto) “furono invece fatti – ha riferito il teste – dal superiore comando del Nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo”. L’operazione “San Michele” che ha portato nel marzo 2015 in carcere i presunti esecutori, e parte dei mandanti, dell’omicidio Patania è stata invece poi eseguita dalla Squadra Mobile. E proprio in ordine ai rapporti fra le varie forze dell’ordine al tempo della faida, un “passaggio” della deposizione del carabiniere Benedetto Russo è significativo circa il “modus operandi” in quel periodo. “Durante i funerali di Fortunato Patania – ha concluso il teste – ci fu un servizio perlustrativo fatto da noi carabinieri della Stazione. Ma non so dire se ci stavano pure i poliziotti, non dialogavamo con la polizia. So solo che alcuni poliziotti il giorno del funerale di Fortunato Patania si fermarono da don Santaguida per consumare un pasto”. Prossima udienza il 22 febbraio.

Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Michele Pagliuso, Pasqualino Patanè, Giancarlo Pittelli, Enzo Galeota, Antonio Barilaro, Costantino Casuscelli, Pamela Tassone, Francesco Sabatino, Gregorio Viscomi, Silvestri e Strazzullo.

Parti civili: la Provincia di Vibo Valentia (oggi con nessun difensore presente), la Regione Calabria (nessun difensore presente in aula), il Comune di Stefanaconi (avvocato Daniela Fuscà) e Sos Impresa (avvocato Rosario Rocchetto).

Patania-

In basso da sinistra verso destra: Giuseppe Patania, Bruno Patania, Andrea Patania, Cosimo Caglioti

 

Più informazioni