Cronaca

I legami e gli “affari” con la Calabria del capo della loggia P2 Licio Gelli

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Solidi legami con la Calabria per il Venerabile della P2 sin dagli anni ’70. Gli intrecci con i clan e l’inchiesta sulla massoneria del procuratore Cordova sino alla paventata candidatura calabrese di Gelli alle elezioni 

di GIUSEPPE BAGLIVO

Aveva un legame diretto anche con la Calabria Licio Gelli, il capo della loggia massonica P2 deceduto ieri nella sua Villa Wanda di Arezzo all’età di 96 anni. Condannato per il depistaggio delle indagini sulla strage della stazione di Bologna del 1980, dopo essere stato detenuto in Francia e Svizzera ed essere rimasto coinvolto in numerose inchieste, si era ritirato nella sua storica abitazione sulle colline aretine.

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Gelli e la Calabria. E’ un legame antico quello che Licio Gelli ha mantenuto negli anni con la Calabria grazie al forte radicamento della loggia P2 nella nostra regione. In particolare, stando al racconto del pentito di ‘ndrangheta Giuseppe Albanese, a metà anni ’70 si sarebbe tenuta una riunione segreta nel Vibonese, in una località denominata ” Villa La Spagnola”, sita fra Parghelia e Zambrone. Alla stessa avrebbero preso parte personaggi di spicco della P2 dell’epoca e i leader di Avanguardia nazionale.  La presenza di Licio Gelli in Calabria fu segnalata del resto anche in inchieste più recenti come quella avviata dall’allora procuratore di Palmi, Agostino Cordova, trasferita – dopo la sua partenza per la guida della Procura di Napoli – alla Procura di Roma per competenza territoriale. Il gip del Tribunale capitolino, Augusta Iannini (moglie del giornalista Bruno Vespa) archiviò poi l’indagine avviata dal procuratore Cordova, con un decreto in cui spiegava che si era in presenza a suo avviso di “notizie, ma non di notizie di reato”. Lo stesso gip scrisse però che la maggiorparte dei fascicoli della voluminosa inchiesta di Cordova erano stati trasferiti in un vecchio magazzino del Tribunale di Roma e, dato il disordine, erano inconsultabili. In quanto non consultati dal giudice, resta quindi tuttora da capire come parte di quelle carte siano state ritenute dal gip “prive di notizie di reato”. Da ricordare, inoltre, che Roma poteva avere competenza territoriale per archiviare solo le notizie di reato attinenti il distretto giudiziario della Capitale, mentre l’inchiesta di Cordova coinvolgeva in realtà mezza Italia e quindi la competenza territoriale di diverse Procure della penisola.

Cordova

Gelli, la Calabria e “Sistemi criminali”. Gelli e la Calabria si “incrociano” poi nell’inchiesta “Sistemi criminali” avviata dal procuratore di Palermo, Roberto Scarpinato. Secondo tale indagine, agli albori degli anni ’90 Licio Gelli si sarebbe fatto il promotore di un progetto politico che prevedeva la sua candidatura in Calabria alla guida di una delle tante liste regionaliste che – con l’esplosione della Lega al Nord – stavano in quegli anni nascendo in tutta Italia. Gelli, secondo la Procura di Palermo, avrebbe goduto per tale suo progetto politico anche dell’appoggio “sotterraneo” di Giulio Andreotti. In cambio di voti in Calabria, Licio Gelli avrebbe garantito – attraverso l’intercessione di Andreotti – un “aggiustamento” di un processo a carico di due esponenti di spicco della Sacra Corona Unita a loro volta in stretti rapporti con la cosca Pesce di Rosarno. A svelare tali particolari, prima all’allora procuratore di Palmi, Agostino Cordova (in foto), e poi ai magistrati di Palermo che hanno aperto l’inchiesta “Sistemi criminali”, è stato il pentito Marino Pulito. A procurare il contatto fra Licio Gelli e l’uomo dei clan pugliesi sarebbe stato un esponente di primo piano dell’allora nascente “Lega meridionale” il quale avrebbe incontrato Gelli in due occasioni nei primi mesi del 1991.

GIULIO ANDREOTTI © ELISABETTA VILLA

Giulio Andreotti

L’episodio, peraltro, è raccontato anche nelle carte del voluminoso processo a Palermo a carico di Giulio Andreotti, conclusosi in Cassazione con la dichiarazione per Andreotti della prescrizione per “reato commesso” sino al 1982 di partecipazione all’associazione a delinquere denominata “Cosa Nostra”.

I voti per Gelli in Calabria. Stando ai collaboratori di giustizia Marino Pulito e Gaetano Costa (quest’ultimo per anni al vertice della ‘ndrangheta operante nella città di Messina), Licio Gelli gli avrebbe chiesto la copia degli atti del processo che interessava gli esponenti della Sacra Corona Unita. In cambio dell’interessamento del Venerabile della P2,  i clan pugliesi si sarebbero quindi attivati con i loro “compari” della ‘ndrangheta per procurare almeno 4 mila voti a Gelli ed alla sua lista in Calabria. Il racconto del collaboratore, peraltro, trova riscontro pure in un’intercettazione fra lo stesso pentito ed il referente della Lega meridionale ed altri dialoghi intercettati sulle utenze telefoniche in uso a Gelli.

Gelli

Licio Gelli

Guai giudiziari di Gelli. Nato a Pistoia il 21 aprile 1919, a 18 anni si arruolò come volontario nelle “camicie nere” di Francisco Franco in Spagna. Fu fascista, repubblichino, partigiano e poi di nuovo dichiaratamente “fascista”.  Il 22 maggio 1981 il primo ordine di cattura. Gelli  diviene latitante, e verrà arrestato a Ginevra il 13 settembre 1982. Rinchiuso nel carcere di Champ Dollon, evade il 10 agosto 1983. Il 21 settembre 1987 si costituisce a Ginevra. Torna a Champ Dollon, che lascia il 17 febbraio 1988 per l’estradizione in Italia. L’11 aprile 1988 ottiene la libertà provvisoria per motivi di salute. Il 16 gennaio 1997, un nuovo ordine di arresto, ma il Ministero della Giustizia lo revoca poichè il reato di “procacciamento di notizie riservate” non rientrava fra quelli per cui era stata concessa l’estradizione.

Il 22 aprile 1998  la condanna in Cassazione a 12 anni per il crac del Banco Ambrosiano. Il 4 maggio Gelli è di nuovo latitante: la fuga dura più di 4 mesi. Gli vengono concessi ancora i domiciliari, che sconterà a Villa Wanda, la residenza nell’ottobre 2013 sequestrata in  un’indagine per debiti col fisco. La villa è rientrata nella sua disponibilità  lo scorso mese di gennaio per la prescrizione dei reati fiscali. Nell’aprile 2013 la Procura di Palermo l’hanno ascoltato a verbale nell’inchiesta sulla trattativa tra Stato-mafia.