Cronaca

La “casetta” del clan e le “mangiate” con il gotha della ‘ndrangheta. Così gli Alvaro gestivano gli “affari”

L'inchiesta dei carabinieri ruota su una serie di intercettazioni ambientali all'interno di un casolare dove avvenivano i summit con le cosche di tutta la provincia e le cene durante le quali si decidevano le strategie da adottare

Da Oppido Mamertina a Sinopoli, da Delianuova fino a Cosoleto. Tutto sotto il controllo degli Alvaro, ritenuta una delle più potenti cosche della 'ndrangheta. Un controllo pervasivo, asfissiante del territorio, tanto che anche gli imprenditori della zona si rivolgevano alla "famiglia" del mandamento tirrenico reggino, affinché li prendessero sotto la loro ala, includendoli tra quelli che potevano fornire beni o servizi in importanti lavori pubblici. E' quanto emerge dall'inchiesta scaturita nell'operazione "Iris" che all'alba di oggi ha portato al fermo di 18 persone. Un sistema che di fatto riconosceva alla ‘ndrangheta locale un potere non indifferente, quello di regolamentare l’accesso ai subcontratti ma, soprattutto, di controllare le attività economico-produttive nei territori in cui si realizzava l’opera. Uno spaccato inquietante quello ricostruito dalla Dda di Reggio Calabria che ha decimato la cosca Alvaro di Sinopoli ma ha anche inguaiato un amministratore pubblico, il sindaco di Delianuova Francesco Rossi, e due imprenditori, Rocco Rugnetta e Saverio Napoli.

"La casetta". Le acquisizioni investigative più rilevanti ruotano intorno ad un casolare di contrada Scifà di Sinopoli: ubicata lungo la strada statale 183 che collega Gambarie a Delianuova, “la casetta” – così indicata dagli indagati – costituisce un luogo nevralgico per la cosca “Alvaro”, connotato da continue riunioni, mascherate da “mangiate”, e da un andirivieni costante di esponenti di tutti i mandamenti di ‘ndrangheta presenti nella provincia di Reggio Calabria. Il monitoraggio della “casetta” ha soprattutto permesso di delineare compiutamente l’organigramma della famiglia “Alvaro”, confermando le acquisizioni del procedimento “Provvidenza” riguardo alla figura di Carmine Alvaro classe 1968, soprannominato “u pulice”, indiscusso capocosca detenuto colpito dal provvedimento cautelare che nel gennaio 2017 ha interessato le principali cosche della Piana di Gioia Tauro. Figure di spicco sono i cugini di Carmine, i fratelli Antonio, Raffaele e Carmine (u bruzzise) Alvaro, che coordinano le attività criminali degli affiliati subordinati ed organizzano gli incontri con i referenti mafiosi di altre articolazioni territoriali della ndrangheta che chiedono di parlare con Carmine Alvaro “u pulice”. Alle figure di maggior rilievo se ne affiancano altre: numerosi affiliati, alcuni dei quali già condannati per reati associativi in altri procedimenti, come Alvaro Giuseppe (“u rugnusu”), Giuseppe Alvaro (“u trappitaru”), Carmine Alvaro (“u limbici”), Carmelo Alvaro (“Carmine Bin Laden”), Domenico Alvaro, Paolo Alvaro (cl. 88), Antonino Bonforte (“u topu”), Rocco Calabrò, Francesco Paolo Sergio e Giuseppe La Capria.




Le alleanze. Al casolare di contrada Scifà è stata registrata la presenza di esponenti di blasonate cosche della provincia di Reggio Calabria, quali i “Pelle-Gambazza” di San Luca, dei “Mollica” di Africo, dei “Rugolino” di Catona, “Ietto” di Natile di Careri, “Concello” di Varapodio, “Callea” di Ortì, “Morabito” (“De Stefano”) di Archi, “Scopelliti” di Melia di Scilla, senza tralasciare le cointeressenze con altri casati tra i quali i “Guadagno” e i “Papalia” di Delianuova, i “Mazzagatti” di Oppido Mamertina e “Larosa” di Giffone. Tra questi, tre sono stati raggiunti dall’odierna misura: Domenico Rugolino, capo dell’omonima cosca operante nei quartieri reggini di Catona, Arghillà, Villa San Giuseppe, Rosalì e Spontone, insieme a Giuseppe Foti, considerato suo subordinato, e Sebastiano Callea, ritenuto esponente di spicco della cosca “Condello–Imerti”, operante nel quartiere Ortì di Reggio Calabria, ai quali viene contestata pure la stretta vicinanza alla cosca di Sinopoli, attestata dalla frequente presenza presso il “quartier generale” di contrada Scifà per condividere le strategie criminali, concordando - secondo l'accusa - la spartizione degli interessi illeciti e le modalità di aggressione al tessuto economico del territorio.

Le opere pubbliche e le estorsioni. L’indagine dei carabinieri del Nucleo Investigativo ha permesso di documentare compiutamente gli interessi criminali della cosca “Alvaro” e di quelle che con esse si sono accordate. È il caso, in particolare, della riscossione del “pizzo” per i “lavori di difesa costiera tra Cannitello e Santa Trada ed in particolare in difesa del centro abitato di Porticello” nel comune di Villa San Giovanni, bandito dalla Provincia per un importo complessivo pari a 1,7 milioni di euro, per la ricarica della barriera soffolta già esistente e la realizzazione di nuovi tratti a protezione dell’abitato, particolarmente esposto alle mareggiate e al fenomeno erosivo della costa. Aspetto di particolare valenza investigativa è il documentato accordo tra diverse compagini ‘ndranghetiste: "l’illecita dazione - scrivono i carabinieri - è infatti spartita tra famiglie mafiose che si estendono su un territorio vasto che va da Sinopoli, passando per Villa San Giovanni fino a raggiungere Archi di Reggio Calabria". L’episodio, però, che maggiormente testimonia la capacità di infiltrazione della cosca “Alvaro” è quello inerente i lavori di realizzazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, opera pubblica di interesse nazionale in ragione della finalità di garantire la sicurezza della connessione della rete elettrica siciliana a quella peninsulare per ridurre il rischio di black out in Sicilia, incrementando la capacità di trasporto tra la Sicilia e il continente. "In questo caso, le mire imprenditoriali del sodalizio criminale sono state - secondo gli inquirenti - estremamente pervasive e rivolte direttamente ai settori più remunerativi – movimento terra, trasporto, fornitura di inerti, mezzi e manodopera – arrivando ad assicurare il controllo del cantiere ed ottenendo introiti diretti e indiretti, attraverso le ditte riconducibili al sodalizio, incaricate delle varie forniture e dei numerosi noli. Di fatto l’indagine ha posto in evidenza l’esistenza di un vero e proprio “accordo” tra la Roda Spa, impresa aggiudicatrice dei contratti da Terna Spa, e alcune ditte di Sinopoli, Sant’Eufemia e San Procopio, tutte collegate o riconducibili agli “Alvaro”. Secondo quanto emerge dall'inchiesta emissari della cosca sono due imprenditori,Saverio Napoli (amministratore di fatto della impresa della ditta Costruzioni Flores Eufemia srl) e Rocco Rugnetta (amministratore di fatto della RR Appalti & Costruzioni srl), che avrebbero tenuto i contatti con i rappresentanti della Roda Spa e avrebbero materialmente imposto le ditte subappaltatrici, i fornitori di ferro e calcestruzzo e i servizi di cantiere in genere, assegnati, su disposizione del clan, a ditte “gradite” e ovviamente a prezzi e condizioni più sfavorevoli rispetto a quelli di mercato.




Le ingerenze sul Comune di Delianuova. Le indagini hanno in maniera doviziosa documentato la capacità degli “Alvaro” d’influenzare le scelte della pubblica amministrazione, in relazione all’attività dei comuni di Sinopoli e, soprattutto, di Delianuova. Ad avviso dei carabinieri, centrale si rivela la figura di Francesco Rossi, all’epoca vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici (oggi sindaco di Delianuova e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria), anch’egli tra i frequentatori di contrada Scifà. In particolare, nell’ottobre 2013 partecipava ad una riunione in cui affrontava con gli “Alvaro” – in un clima di piena sintonia e unità di intenti con i vertici del sodalizio – questioni relative agli appalti e finanziamenti pubblici e, più in generale, a problematiche del centro urbano di Delianuova su cui la cosca esercitava la propria influenza mafiosa. In particolare Rossi avrebbe richiesto un intervento degli “Alvaro” su alcuni soggetti che ostacolavano la sua gestione amministrativa "adducendo - annotano gli inquirenti - presunte violazioni dei patti pre-elettorali da parte del Rossi nella definizione del piano regolatore comunale e della lottizzazione della zona di Carmelia, per condurre alla caduta del governo locale nel tentativo di porsi poi in prima persona alla guida di quella amministrazione comunale". Rossi, in pratica, aveva deciso di portare sul tavolo dei suoi interlocutori mafiosi le diverse questioni che avevano generato gli attriti in seno all’amministrazione comunale, affinché le figure apicali della cosca “Alvaro” si esprimessero nel merito, rinnovando il sostegno a Rossi e interrompendo le condotte ostruzionistiche dei suoi oppositori. Per i carabinieri, l’allora vicesindaco e assessore Rossi ha incarnato il ruolo di referente politico della cosca “Alvaro” in seno all’amministrazione comunale di Delianuova, “collocato” nella carica pubblica dalla ‘ndrangheta per farne gli interessi.

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