Cronaca

L’ascesa dei Mancuso in un territorio sotto scacco da 40 anni. Dalle “conquiste” alla disgregazione

L'inchiesta Demetra ricostruisce in modo dettagliato la lunga e articolata attività mafiosa della famiglia di Limbadi sul territorio, le sue ramificazioni e le inchieste che ne hanno scalfito il potere senza mai riuscire a debellarla.

Famiglia-Mancuso di Limbadi

di TONINO FORTUNA

Quello dei Mancuso di Limbadi è il sodalizio criminale per antonomasia nella provincia di Vibo Valentia. Nelle carte dell'inchiesta Demetra che questa mattina ha fatto luce sull'attentato costato la vita a Matteo Vinci, nel quale è rimasto gravemente ferito anche il padre, questo concetto emerge con chiarezza. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidati dal procuratore Nicola Gratteri, ricostruiscono la storia della cosca con dovizia di particolari, evidenziando tutte le operazioni ed i conseguenti processi nei quali la potente famiglia di Limbadi è stata coinvolta.




Quarant'anni di storia criminale.  Per i magistrati, l'ascesa dei Mancuso nel panorama criminale vibonese  inizia nel 1977, dopo la morte del boss Antonio Zoccali di Vibo Valentia. In una prima fase, "essi supportarono la 'ndrina dei Fiarè durante la faida contro la famiglia Pardea, sancendo così una forte alleanza". Di lì a breve, tuttavia,  i Mancuso "avrebbero ottenuto facilmente la supremazia della zona". Fondamentale sarebbe risultata l'alleanza con due potenti famiglie reggine: i Piromalli di Gioia Tauro e i Pesce di Rosarno con le quali venne sancito un patto federativo, meglio noto come "mandamento tirrenico". Grazie a questa ascesa, i Mancuso si imposero sugli altri gruppi criminali del vibonese, "esercitando un potere assoluto sulla zona d'influenza - scrive la Dda - mediante il controllo delle attività economiche ed imprenditoriali con l'accaparramento delle ricchezze che ne derivavano".

 Il mandamento tirrenico. L'esistenza del mandamento tirrenico emerse in maniera chiara dalle risultanze di una serie di indagini condotte dalla Dda di Reggio Calabria. Tra queste, vale la pena rammentare l'operazione Armonia che suddivideva la Calabria in tre macro aree, dette mandamenti (tirrenico, ionico e centro).

I settori d'influenza. La consorteria di Limbadi poneva la propria attenzione soprattutto al traffico internazionale di droga, svolgendo un ruolo di raccordo e coordinamento con altri gruppi criminali vibonesi. Particolare interesse vi era nei Mancuso per il settore turistico-alberghiero, con la presenza di numerosi villaggi e strutture ricettive "presso cui il sodalizio - scrivono i magistrati  -esercita il potere con l'imposizione di tangenti, forniture e guardianie che garantiscono l'ingerenza della cosca nella gestione delle attività". Mai sopita è stata "l'ingerenza della cosca anche rispetto al pressante condizionamento degli appalti pubblici".

I rapporti con i broker. Nel tempo la cosca Mancuso ha saputo intrattenere relazioni e rapporti diretti con i broker Sudamericani della droga.  Rapporti nei quali un ruolo di primissimo ordine avevano - come detto - le famiglie della ndrangheta reggina, Pesce e Piromalli, ma anche quelle siciliane di Cosa Nostra (specie i Cuntrera e Caruana)) e della disponibilità di vari poli logistici nell'Italia centro-settentrionale.

Pionieri della collusione con i politici.  Non hanno dubbi i magistrati. I Mancuso furono tra i primi sodalizi di 'ndrangheta "ad intuire quanto fosse vantaggioso ricercare contatti collusivi con le amministrazioni locali. Già nel 1983, il Consiglio comunale di Limbadi venne sciolto per infiltrazioni mafiose a seguito degli esiti delle consultazioni elettorali in cui "il capobastone Francesco Mancuso, allora latitante per associazione mafiosa, risultò primo candidato eletto".

Le inchieste. Numerose le inchieste che hanno scalfito senza mai riuscire a decapitare la cosca limbadese. Anzitutto, "Dinasty-affari di famiglia", la madre di tutte le operazioni di polizia che portò all'arresto di decine di persone tra capi e gregari del clan oltre che di cosche satelliti. Gli inquirenti ridisegnavano la reale struttura del sodalizio, le affiliazioni ed il modus operandi facendo emergere l'esistenza "di rinnovate alleanze criminali". L'inchiesta consentiva di sancire "il riconoscimento giudiziario della cosca".  Non meno rilevante l'operazione "Decollo", che vedeva i Mancuso rispondere di traffico internazionale di droga insieme ad esponenti della cosca Pesce di Rosarno. Nel settembre 2006 arrivava l'operazione "Odissea" che portava all'arresto di 35 affiliati della cosca Mancuso e della famiglia Larosa di Tropea. Erano chiamati a rispondere a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione ed usura.  Seguivano altri tentativi dello stato di sgominare la potente consorteria di Limbadi. Ancora nel 2006 scattava l'operazione "Do ut des" che portava all'arresto di 16 persone, tra cui politici, imprenditori e magistrati come Patrizia Pasquin della Sezione  civile del Tribunale di Vibo.




In epoca più recente. Un capitolo a sè meritano l'inchiesta Black money, scattata nel marzo 2012 e l'operazione Costa pulita che ricostruiva i rapporti tra i Mancuso e la famiglia Accorinti di Briatico. In entrambi i casi gli indagati, rispondono di associazione mafiosa, usura ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso. In mezzo vi erano state altre operazioni: l'inchiesta "Rima" che riconosceva la supremazia dei Mancuso rispetto a quella di altre 'ndrine sul territorio, a cominciare dai Fiarè di San Gregorio; l'operazione "Genesi" tesa a ribadire la presenza e l'operatività della cosca, per come emesso dalla sentenza di primo grado che ha condannato alcuni esponenti della potente famiglia di Limbadi; il processo "Tirreno" dal quale si attestavano i rapporti di solida alleanza e cointeressenza tra i Mancuso ed i Molè-Piromalli; operazione Count down, contro la "federazione milanese delle mafie" che vedeva coinvolto ancora una volta il clan del Vibonese.

La disgregazione. Tutte queste operazioni, però, hanno permesso anche di stabilire come, in seno alla cosca, fossero sopravvissuti contrasti per il controllo del territorio. In particolare, il sodalizio, ritenuto fino a un certo punto "unico ed amalgamato", aveva subito "varie disgregazioni interne tra varie articolazioni che iniziato ad utilizzare i canali in maniera autonoma rispetto alle altre, ognuna delle quali si è dotata di una propria struttura organizzativa, esercitando condizionamenti sul territorio". In particolare venivano riconosciuti due "schieramenti": da una parte "l'articolazione - scrivono gli inquirenti - facente capo a Luigi Mancuso, retta sul territorio da Cosmo Mancuso", dall'altra "quella facente capo a Giuseppe Mancuso "alias Mbrogghjia", diretta sul territorio dal fratello Diego Mancuso. Delle due ramificazioni, appariva "più compatta quella che faceva capo a Cosmo Mancuso rispetto a quella con al vertice Diego Mancuso".  A questi due schieramenti principali va aggiunto quello che faceva capo Francesco Mancuso, detto Tabacco che, dalle indagini dell'operazione Dinasty, risultava in contrasto con il gruppo di Cosmo Mancuso e dissapori con quello di Diego Mancuso, peraltro, fratello di "Tabacco".

Più informazioni