Cronaca

Immigrati sfruttati e utilizzati per coltivare marijuana nel Vibonese

E' quanto emerge dall'inchiesta "Cannabis farm" che ha portato all'arresto di cinque cittadini extracomunitari, quattro richiedenti asilo politico e uno con il permesso di soggiorno scaduto

di MIMMO FAMULARO

Venti serre costruite in un appezzamento di terreno di oltre un ettaro, a due passi dal mare, in località Prangi a Pizzo, all'altezza del campo sportivo comunale. Quasi novantamila piante di canapa indiana in gran parte giunte a fioritura e pronte per essere essiccate. Una piantagione di marijuana delle qualità notoriamente conosciuta come "skunk" pari ad otto tonnellate per un business di almeno venti milioni di euro. Sono questi i numeri dell'imponente operazione condotta dalla Compagnia della guardia di finanza di Vibo Valentia e denominata "Cannabis farm". Attraverso un'attività di intelligence, i finanzieri vibonesi sono riusciti a scoprire una vera e propria azienda dedita alla produzione di canapa indiana collocata in un appezzamento di terreno visibile solo dall'alto.




Gli extracomunitari. Ciò che è saltato subito agli occhi delle fiamme gialle è stato l'impiego di manodopera a bassissimo costo e rappresentata dalla presenza sul posto di cinque africani, giunti nel Vibonese in seguito ad uno dei tanti sbarchi effettuati negli ultimi anni nel porto di Vibo Marina. Si tratta di un cittadino originario della Guinea di 24 anni, di un altro della stessa età arrivato dal Mali e tre della Costa d'Avorio, rispettivamente di 35, 33 e 32 anni. Quattro di loro sono richiedenti asilo politico mentre un quinto aveva il permesso di soggiorno scaduto ed era in attesa di rinnovo. Erano stati reclutati per coltivare le piantagioni di marijuana presenti nelle serre e vivevano accampati nel casa colonica annessa al terreno e formalmente disabitata. I tecnici dell'Enel hanno tra l'altro scoperto due allacci abusivi alla corrente elettrica.

Italiani incensurati. I cinque extracomunitari sono finiti agli arresti e portato nella casa circondariale di Vibo unitamente ad altri due italiani, un calabrese di Taurianova, G. D. di 43 anni; e un siciliano di Messina, P. M. di 34 anni. Secondo i finanzieri erano loro a sovrintendere ai lavori nel terreno. Entrambi incensurati, non risultato allo stato legati ad alcun sodalizio criminale ma le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Benedetta Callea, proseguono per accertare altre ed eventuali responsabilità. Improbabile che le consorterie mafiose presenti sul territorio non sapessero della presenza della maxi-piantagione e inverosimile l'ipotesi che tutto sia nato dal nulla senza l'autorizzazione delle 'ndrine in un territorio dove non si muove foglia se la 'ndrangheta non voglia. Ma questo è un altro step di un'inchiesta che prosegue e che promette ulteriori sviluppi.

Il terreno. Gli approfondimenti investigativi coinvolgono anche la società che ha fittato il terreno adibito alla coltivazione di marijuana probabilmente a propria insaputa. La società ha sede legale a Vibo e sarebbe proprietaria di diversi immobili sparsi nella provincia.

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