Cronaca

Processo ai Pesce di Rosarno, mano pesante del pm: chiesto un secolo e mezzo di carcere

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L’operazione “Recherche”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e condotta dalla Squadra Mobile della città dello stretto, è nata dalla cattura del boss di Rosarno Marcello Pesce

Quasi un secolo e mezzo di carcere. Tanto ha invocato il pm Giulia Pantano, nel tardo pomeriggio di ieri, per i 19 imputati finiti nell’inchiesta denominata “Recherche”, chiedendo in totale 145 anni di carcere. L’operazione, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e condotta dalla Squadra Mobile della città dello stretto, è nata dalla cattura del boss di Rosarno Marcello Pesce, arrestato l’1 dicembre 2016.

Le richieste. Il pm ha chiesto la condanna di Carmelo Garruzzo a 13 anni e quattro mesi, Marcello Pesce 14 anni, Rocco Pesce 14 anni, Antonino Pesce, classe ’92, 13 anni e quattro mesi, Savino Pesce 10 anni e otto mesi, Antonino Pesce, classe ’82, 3 anni, Filippo Scordino 10 anni, Michelino Mangiaruga 4 anni, Rocco Rachele 4 anni, Andrea Villari 2 anni e otto mesi, Biagio Porretta 2 anni, Angelo Tiziano Porretta 2 anni e sei mesi, Michelangelo Raso 13 anni e quattro mesi, Rosario Armeni 3 anni, Bruno Stilo 14 anni, Giuseppe Nicolaci 8 anni e otto mesi, Santo Pensabene 2 anni e sei mesi. Roccaldo Messina 3 anni, Vincenzo Cannatà 2 anni e otto mesi

L’inchiesta. Il provvedimento di fermo emesso dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, del 4 aprile 2017, aveva colpito 25 persone, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale nei confronti del boss latitante Marcello Pesce, aggravati dalla circostanza di aver agevolato un’organizzazione criminale aderente alla ‘ndrangheta, nonché di traffico e cessione di sostanze stupefacenti.

Monopolio criminale. Decisive le intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videosorveglianza che avrebbero consentito agli inquirenti di far luce sulle condotte criminali del gruppo che faceva capo a Marcello Pesce e, più in generale, all’intera cosca rosarnese, con particolare riferimento al monopolio illecito del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli, alle intestazioni fittizie di beni e al traffico degli stupefacenti. L’attivismo della cosca non si sarebbe limitato al settore degli stupefacenti o all’intestazione fittizia in funzione della protezione dei beni della cosca, ma si sarebbe allargato soprattutto alle attività di illecita mediazione nel settore dei trasporti merce per conto terzi, storicamente di competenza dell’articolazione della cosca Pesce che, fino al suo arresto, avrebbe visto in Marcello Pesce il punto di riferimento.

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