Cronaca

‘Ndrangheta, Annunziata: “Ho pagato per paura, ma non sono socio dei Piromalli”

annunziata_3.jpg

Il noto imprenditore di Gioia imputato nel processo “Bucefalo” rompe il silenzio e parla in aula: “Estorto da Piromalli e Molè, la delinquenza quale aiuto mi ha portato?”

“Quindi la delinquenza a me, Annunziata, quali aiuti ha portato? Questo è quello che io…la mia rabbia”. Alfonso Annunziata ha rotto il silenzio che si era imposto da quando era finito in carcere accusato di essere socio d’affari dei Piromalli. Un’accusa che l’imprenditore campano, da decenni trapiantato a Gioia Tauro, ha sempre rigettato con forza. Dalle dichiarazioni spontanee rilasciate nell’ultima udienza del processo “Bucefalo”, nel quale è il principale imputato, Annunziata (scarcerato due giorni dopo la sua deposizione) ha dichiarato a chiare lettere di essere una vittima, di avere sempre pagato il pizzo per “vigliaccheria”, ma di non essere in affari con la ‘ndrangheta. La deposizione è partita da lontano, da quando cioè nel 1987 fu oggetto di un’intimidazione che lo costrinse a chiudere il suo primo negozio e fare ritorno a San Giuseppe Vesuviano. Il suo ritorno a Gioia Tauro, ha raccontato Annunziata, sarebbe stato possibile solo grazie all’intercessione dello zio con don Peppino Piromalli classe ’21. L’imprenditore si era impegnato a pagare un “fiore” all’anziano boss a Pasqua e Natale. Cosa che ha continuano a fare fino al suo arresto nel 2015.

Soldi ai Piromalli e ai Molè “Quando ho aperto il negozio di 4000 metri quadri allo svincolo dell’autostrada… nel ’95, si sono presentati a nome di queste famiglie e mi hanno costretto, mi hanno tassato, diciamo così, 20 milioni a una cosca e 20 milioni a un’altra…e più 10 li versavo a quell’altra famiglia”, quella cioè di Peppino Piromalli. Una “tassa” che è andava via via crescendo seguendo il volume degli affari dei negozi Annunziata. “Passato poi nel 2000 – ha aggiunto l’imprenditore – io ho fatto un ampliamento del negozio e mi hanno tassato poi a 50 (milioni di lire ndr)”. Nella confusa ricostruzione di Annunziata si capisce che le pretese delle cosche sarebbero aumentate dopo l’ampliamento dell’attività commerciale. La richiesta di maggiore denaro, secondo Annunziata, sarebbe stata preceduta da un’intimidazione, delle pistolettate alle serrande. “Nel 2003-2004 – ha spiegato – quando è uscito dal carcere Rocco Molè…quando ho iniziato a costruire il negozio grande…io al negozio di Pino Speranza (suocero di Rocco Molè ndr) ho incontrato Rocco Molè”…”che ha voluto da parte sua, con la pretesa che aveva i fratelli all’ergastolo, mi ha portato a 75 milioni”, vale a dire 38mila euro. La continua richiesta di denaro si sarebbe bloccata nel 2008. “Poi come altro – ha continuato Annunziata – con l’omicidio Molè si è fermata questa, da una parte e dell’altra…sono spariti tutti…però al giugno sono venuti un ragazzo a nome di Molè che dovevano andare a fare i colloqui, dovevano mettere l’avvocato, e sono stato costretto a cacciare 10mila euro una volta e 20mila euro un’altra…”.

“Sono stato vigliacco” “Per me è umiliante – ha ammesso Annunziata – perché io ho sempre affrontato tutto con lo spirito, con il sacrificio…per quest’altra cosa sono stato vittima, sono stato vigliacco, ma perché l’ho fatto?… Mo’ adesso mi dite fammi i nomi, io me ne devo andare da Gioia, me ne devo andare con tutta la famiglia e i nipoti…non posso mettere in pericolo” le loro vite. Infine, Annunziata lamenta una scarsa attenzione da parte dello Stato nella sua vicenda: “Quando mi hanno messo la bomba – ha sottolineato – nell’87 ho chiuso…ho svenduto la merce non è venuto nessuno a dirmi “ma che stai facendo?” Quando sono ritornato pure, perché se fossero venuti forse le cose potevano andare diversamente…”.

LEGGI QUI | ‘Ndrangheta, il Tribunale di Palmi scarcera l’imprenditore Alfonso Annunziata