Cronaca

Omicidio barone Musco, nella nuova infomativa dei carabinieri la chiave del delitto

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Livio Musco è stato ucciso intorno alle 19 del 23 marzo 2013 nel suo studio a Gioia Tauro: tre pistolettate calibro 7.65 che hanno colpito l’anziano al viso e al collo

Si trova in una nuova informativa dei carabinieri di Gioia Tauro la chiave dell’omicidio del barone Livio Musco. Venerdì della scorsa settimana, la Procura di Palmi ha chiuso le indagini incriminando ufficialmente Teodoro Mazzaferro, Domenico Berdji Musco e Ruggiero Musco. I primi due per omicidio, il terzo solo per la detenzione di una pistola. Le nuove indagini sono riassunte nella corposa nota informativa redatta dai carabinieri del Gruppo Gioia Tauro, che da anni indagano senza sosta per venire a capo di un giallo che ha tenuto col fiato sospeso la città del porto e non solo.

Le intercettazioni Dall’indice si evince che, nonostante l’inchiesta sia stata smontata dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, che aveva scarcerato Mazzaferro mettendo in risalto le presunte carenze in fase di indagine, procura e carabinieri non si sono persi d’animo e hanno continuato a scavare nelle dinamiche interne di quella nobile famiglia decaduta, intruppata in guerre intestine causate dell’enorme lascito conteso tra diversi fratelli. Dopo la pronuncia del Tdl, infatti, i militari dell’Arma si delega dell’ufficio di Procura di Palmi hanno intercettato i vari membri della famiglia Musco fino a trarre nuovi spunti investigativi per potere arrivare a chiudere le indagini. Gli inquirenti, infatti, sono convinti di avere raccolto prove sufficienti per potere sostenere l’accusa in un processo. Livio Musco è stato ucciso intorno alle 19 del 23 marzo 2013 nel suo studio a Gioia Tauro: tre pistolettate calibro 7.65 che hanno colpito l’anziano al viso e al collo. Pistola, però, che secondo quanto si evince dall’ultimo atto della procura, non sarebbe quella per la quale è indagato Ruggiero Musco.

L’inchiesta infinita Quel 23 marzo 2013, nel palazzotto di famiglia nel centro cittadino c’erano il fratello della vittima, Giuseppe e il nipote, Domenico detto Berdji. E i carabinieri concentrarono l’attenzione proprio su di loro. Interrogati per diverse ore, i due uomini furono sottoposti allo “stub”, l’esame per individuare residui di polvere da sparo. L’esame compiuto dal Ris diede esito positivo: ma mentre per Giuseppe le tracce di polvere da sparo erano compatibili con il contatto avuto con Livio Musco durante il soccorso, quelle nelle narici e nelle orecchie di Berjdi secondo gli investigatori erano dovute alla sua presenza sulla scena mentre la pistola ha fatto fuoco. Il gip concedesse l’arresto di Mazzaferro, ma non a quello di Berdji Musco. Mossa sbagliata, secondo il Tdl che scarcererà Mazzaferro e punterà il dito sulle presunte lacune del pronunciamento del gip di Palmi.

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