Cronaca

‘Ndrangheta, la Dda di Reggio chiede 120 anni di carcere per la cosca Crea

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Principali imputati nel processo “Deus” il boss Teodoro Crea, i suoi due figli. L’inchiesta nasce dalle dichiarazioni dell’ex sindaco Bartuccio

La procura distrettuale di Reggio Calabria ha chiesto la condanna a 120 anni di carcere per i 12 imputati finiti nell’inchiesta “Deu”, operazione della Dda contro la cosca Crea di Rizziconi. Nella giornata di ieri, il pm Luca Miceli ha terminato la sua requisitoria chiedendo pene esemplari per il boss Teodoro Crea e i membri del suo clan. Un potere contro il quale si è ribellato l’ex sindaco Antonino Bartuccio che, grazie alla sua collaborazione con la giustizia, ha mandato in carcere boss, affiliati e gregari del clan rizziconese. L’ex amministratore si è costituito parte civile nel processo.

Le richieste Alla fine il sostituto procuratore della Dda ha chiesto la condanna del boss Teodoro “Toro” Crea classe ‘39 a 20 anni di carcere; stessa pena invocata per suo figlio Giuseppe; 16 anni di carcere, invece, sono stati chiesti per Antonio Crea, 12 per l’altro figlio del boss, Domenico Crea, e per Teodoro Crea ’67. Per Domenico Russo la richieste della Procura antimafia è di 10 anni, 8 per Domenico Cutrì, Giuseppe Lombardo e Osvaldo Lombardo; 2 anni e otto mesi sono stati invocati per Vincenzo Tornese, 1 e dieci mesi per Clementina Burzì (moglie di Toro Crea) e 1 e quattro mesi per la moglie di Giuseppe Crea, Maria Grazia Alvaro. In totale le richieste di condanna ammontano a 120 anni di galera per i 12 imputati nel procedimento.

condanna crea

Teodoro Crea

L’inchiesta L’operazione “Deus”, condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e coordinate dalla Dda reggina , è scattata il 4 giugno 2014. Un’inchiesta che ha coinvolto 16 persone, 12 dei quali sono sotto processo davanti al Tribunale di Palmi. In particolare, l’attività investigativa ha evidenziato l’assoluta egemonia della cosca Crea, esplicata sul territorio come una vera e propria “signoria”, sia nell’esercizio delle tradizionali attività criminali che nel totale condizionamento della vita pubblica, tanto da determinare, nel 2011, lo scioglimento del Consiglio Comunale di Rizziconi.

I signori feudali «La caduta del Consiglio comunale di Rizziconi del 2 aprile 2011 – ha attaccato Miceli – è la cartina di tornasole di questa terra. Del potere subdolo, strisciante della cosca. Ma è anche la storia di un uomo coraggioso e integerrimo – l’ex sindaco Antonino Bartuccio – che dimostra come si possa vincere opponendosi ai mafiosi». Il pm ha ripercorso tutte le fasi che hanno portato alla nascita della lista che nel 2010 vinse le elezioni comunali e l’abbandono dei consiglieri di maggioranza – per questioni politiche e per imposizione dei Crea – che portarono alla fine prematura dell’esperienza di Bartuccio. L’ex sindaco, ha spiegato Miceli, si è opposto ai desiderata della cosca pagandone il prezzo: «Non ci ha guadagnato niente, ha solo fatto il suo dovere senza vere nulla in cambio», se non l’appoggio dello Stato e il riconoscimento della parte sana della sua città.

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