Cultura & Spettacolo

Vibo, la “Dante Alighieri” inaugura il nuovo anno all’insegna della cultura classica

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L’attualità del sapere antico al centro della riflessione del prof. Giacinto Namia, presidente dell’Aicc

Con la conferenza del prof. Giacinto Namia, presidente della sezione vibonese dell’Associazione Italiana Cultura Classica su “L’eredità della cultura classica”, nella tradizionale sede sociale del Convitto Filangieri che sé tenuto l’incontro di inaugurazione del nuovo anno sociale della Dante Alighieri di Vibo Valentia. Assente per motivi di salute la presidente Maria Liguori Baratteri, è stato il vice presidente del Comitato vibonese della Società Dante Alighieri, Maurizio Bonanno, a tenere a battesimo il nuovo anno sociale, il primo del nuovo decennio, dopo le solenni celebrazioni del “Decennale” svoltesi circa un mese fa alla presenza del segretario generale Alessandro Masi.

Bonanno ha ricordato le più recenti iniziative della Dante vibonese ribadendo quella che è la mission del Comitato, che punta, così come dalla sua fondazione ha sempre fatto, ad esaltare i valori della cultura classica coniugata con le competenze della moderna società tecnologica, in modo che sia possibile proiettarsi in quelle realtà verso le quali si rivolgono i giovani, per scongiurare il pericolo sempre presente di uno scollamento generazionale. Non a caso, la scelta della tematica per l’incontro di inaugurazione del nuovo anno sociale.
Namia, da par suo, partendo da Nietzsche ha sviluppato il concetto di una cultura classica di straordinaria attualità prospettando un confronto profondo tra le due principali culture classiche. La greca e la latina.

Furono i greci ad offrire la novità più importante per l’evoluzione sociale, ovvero la “democrazia” che, a partire dal V-IV secolo a.C. creò i cittadini, persone consapevoli e protagoniste attive della polis, al contrario di quanti tra i “barbari” vivevano da sudditi; toccò quindi ai romani esaltare il valore della Civitas, intesa come “cittadinanza”.
Giacinto Namia coglie le complementarietà, fortemente costruttive nella creazione di una coscienza sociale tra la “paideia” greca e la “humanitas” romana. Infatti, la paideia, partendo dal significato originario equivalente a ‘educazione’, assunse poi il valore di ‘formazione umana’ per arrivare infine a indicare il contenuto, ovvero la cultura nel senso più elevato di perfezione morale, culturale e di civiltà cui l’uomo deve tendere attraverso un processo continuo, mai compiuto, che impegna tutto l’uomo, che si realizza pienamente come soggetto autonomo. La “humanitas” tra i romani assume un valore etico, che individua l’uomo bene educato, raffinato, dotato di buoni sentimenti, che sappia vivere con decoro, una formazione che non rimane fine a se stessa, ma si traduce nella volontà di far progredire l’umanità, concetto che in Terenzio, si traduce in volontà di comprendere le ragioni dell’altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: l’uomo non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro uomo da comprendere e aiutare.

Forte di questi riferimenti, Namia conclude citando Martha Nussbam e la sua opera “Non per profitto”, laddove denuncia il rischio non tanto di perdere la memoria di fonti preziose, ma addirittura di non rintracciare più l’Uomo che è in noi, che invece va ricercato ogni giorno, riscoperto, valorizzato: smarrendo così quel Senso di appartenenza che tutti ci dovrebbe legare.
Per concludere, sempre citando Nussbam, che “Occorre restituire all’essere umano la sua umanità, che non può essere soltanto un frenetico usa e getta degli oggetti materiali, ma in primo luogo ricerca e affermazione di Sé in quanto Umano, appunto”.

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