Cronaca

Doppio blitz tra Toscana e Calabria, così la ‘ndrangheta riciclava il denaro sporco

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I dettagli delle operazioni che hanno portato all’arresto di 41 persone e al sequestro di oltre 100 milioni di euro. Denunciate 46 persone e tra queste ci sono diversi imprenditori

di MIMMO FAMULARO

Associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale e associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro. E’ la lunga serie di accuse alla quale devono rispondere a vario titolo le ventisette persone finite al centro dell’inchiesta condotta congiuntamente dalla Direzione investigativa antimafia e della guardia di finanza di Reggio Calabria e denominata “Martingala”. 

Operazione MartingalaIl decreto di fermo. L’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria avrebbe consentito di accertare l’esistenza di un sodalizio criminale con sede operativa a Bianco e ramificazioni non solo nella provincia reggina ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero. Secondo quelle che sono le risultanze investigative, al vertice dell’organizzazione ci sarebbe Antonio Scimone, ritenuto il principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e il vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali. Con lui sotto accusa sono finiti anche Antonio Barbaro, Bruno Nirta ed il figlio di quest’ultimo Giuseppe, elementi di spicco delle due omonime cosce operanti nel versante jonico reggino.

Operazione MartingalaLe “cartiere”. L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie. Le società avevano sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria, Romania) e dopo non più di un paio di anni di “attività”, venivano sistematicamente trasferite nel Regno Unito e cessate. Tutto ciò era ovviamente funzionale ad evitare accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità. Le fittizie operazioni hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi. Secondo gli investigatori questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale.

Imprenditori “collusi”. Gran parte di questi clienti erano imprenditori espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei “tre mandamenti”. Le approfondite indagini finanziarie portate a termine dagli uomini della DIA hanno consentito di accertare che, attraverso questo collaudato meccanismo fondato sulle operazioni fittizie,  Antonio Scimone ed i suoi sodali sarebbero riusciti a far transitare dai conti delle società cartiere flussi finanziari per diverse centinaia di migliaia di euro al mese. Questo vorticoso giro di denaro aveva termine direttamente in Italia mediante bonifici a società di comodo, oppure sui conti di società estere. Da questi conti il denaro veniva successivamente prelevato e riportato in contanti in Italia.

L’infiltrazione negli appalti pubblici. L’organizzazione ha dimostrato anche una notevole capacità di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici. “Ciò è avvenuto – spiegano gli inquirenti – con varie modalità, ad esempio con la predisposizione di contratti di joint venture, o anche tramite i contratti di “nolo a freddo”: tali strumenti contrattuali venivano sviati dalle loro cause tipiche; nelle mani di Scimone diventavano flessibili strumenti funzionali all’esigenza di drenare, in modo apparentemente lecito, denaro da società che si erano aggiudicate appalti pubblici”. 

Operazione MartingalaIndagati “eccellenti”. L’attività posta in essere dalla Dia sviluppatasi anche grazie all’approfondimento investigativo di oltre un centinaio di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette estere, pervenute anche da FIU (Unità di Informazione Finanziaria), ha interessato, tra l’altro, dinamiche criminali estrinsecatesi nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione. “Fra questi – evidenzia una nota della guardia di finanza – c’è la posizione di Pietro Canale (socio di maggioranza ed amministratore della Canale Srl, società molto attiva nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), ritenuto responsabile dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita; nonché quella dell’imprenditore Antonino Mordà, già interessato in passato da procedimenti in materia di criminalità organizzata. Con riferimento al Mordà, è stata documentata la straordinaria liquidità di cui disponeva. Le indagini hanno dimostrato che tali risorse, di illecita provenienza, sono state reimpiegate nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. In tale illecita attività,Mordà è stato attivamente collaborato dai suoi più stretti sodali, soprattutto Pierfrancesco Arconte, figlio del più noto Consolato, già condannato nel Processo Olimpia quale elemento di vertice della cosca Araniti”. Nella rete della Dia è finito anche, con la contestazione del reato di riciclaggio, un impiegato di banca, il quale si sarebbe dimostrato sempre solerte nel soddisfare le illecite esigenze di Mordà.

Mandamento tirrenico. Un ulteriore filone dell’attività investigativa, approfondito dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, ha riguardato le “prestazioni” che l’associazione guidata da Scimone – avvalendosi del complesso reticolo di imprese allo stesso riconducibili allocate sul territorio nazionale ed europeo (tra cui la società croata “Nobilis Metallis Doo” e quella slovena “B-Milijon, Trgovina In Storitve Doo”) avrebbe fornito alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro ed a Giorgio Morabito, collegati alla cosca Piromalli. Tali imprenditori – spiegano gli investigatori – erano stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Cumbertazione”, condotta dal Reparto della Guardia di Finanza su delega della Dda di Reggio Calabria, “in quanto, quali imprenditori espressione della ‘ndrangheta, avevano agevolato gli interessi di quest’ultima nel settore degli appalti pubblici, costituendo, gestendo e di fatto infiltrandosi in un nucleo di oltre 60 imprese, sostanzialmente consorziate tra di loro, che governavano collusivamente le principali aggiudicazioni dei lavori pubblici nell’area della piana di Gioia Tauro, attraverso insidiose attività di turbativa delle relative aste”.

Denunciate 46 persone.  Oltre ai soggetti fermati, a conclusione della lunga e laboriosa attività d’indagine, sono state denunciate, a vario titolo, 46 persone. In considerazione della tipologia dei reati contestati, che consentono, in massima parte, la confisca, è stato richiesto ed ottenuto il sequestro preventivo di 51 società con sede in varie regioni d’Italia ed anche all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa €. 100.000.000. Per l’esecuzione dei provvedimenti, il centro operativo Dia di Reggio Calabria ha potuto contare sul fondamentale apporto delle articolazioni periferiche Dia di Milano, Padova, Roma e Catanzaro, nonché di personale di supporto proveniente dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Campania, mentre la guardia di finanza è intervenuta mediante l’impiego di 220 militari tratti dai Reparti dipendenti dal Comando Provinciale di Reggio Calabria.

L’altro blitz. In concomitanza con l’operazione “Martingala”, il Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Firenze, unitamente al Reparto Operativo – Nucleo Investigativo dell’Arma dei carabinieri del capoluogo toscano, ha fatto luce, sotto la direzione della Procura distrettuale antimafia di Firenze, sul riciclaggio/reimpiego nel tessuto economico toscano dei proventi illeciti conseguiti dall’associazione capeggiata da  Antonio Scimone, Antonio Barbaro e Bruno Nirta, segnatamente nei confronti di imprenditori operanti nel locale distretto conciario. All’esito delle indagini, la guardia di finanza ed i carabinieri di Firenze hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 persone, oltre al sequestro preventivo di 12 società e disponibilità finanziarie. 

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