Cronaca

Operazione Stige, i verbali del pentito Farao: “Così venivano raccomandati gli ‘accoscati'”

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Le rivelazioni del figlio del boss Giuseppe Farao: dall’ascesa economica del clan all’imprenditore che sosteneva in carcere gli affiliati

di GABRIELLA PASSARIELLO

Ha deciso di collaborare con la Dda di Catanzaro il 37enne Francesco Farao, figlio del boss Giuseppe Farao, coinvolto nell’operazione antimafia “Stige”. Ha iniziato a rispondere alle domande del procuratore capo Nicola Gratteri e del sostituto Domenico Guarascio dal carcere di Rebibbia il 16 gennaio scorso, riferendo di aver avviato l’azienda denominata “Meplacart srl”, prima denominata “Meplacart di Malena Elena” costituita originariamente insieme alla moglie (Elena Malena appunto), a cui poi si sono aggiunti altri soci, in particolare Maria Giulia Lombardo moglie di Cataldo Siciliani. La Meplacart srl venne costituita nel 2014 e le quote sarebbero state suddivise al 50% tra Farao e Lombardo, mentre Malena avrebbe ricoperto il ruolo di amministratore. Con una precisazione. La quota sociale di Lombardo, come dichiara il pentito alla Dda, sarebbe appartenuta in realtà al marito. I rapporti tra Farao e Siciliani esistevano già prima della costituzione di una società, dove formalmente, all’inizio almeno, non figuravano i nomi di Siciliani e della moglie. Rapporti datati nel tempo, tant’è che Siciliani era stato il testimone di nozze di Farao. “Nel 2014, visto che le cose andavano bene abbiamo deciso di costituire la società a responsabilità limitata. Io ho conferito 25mila euro e Siciliani altri 25mila. Le somme da me conferite nell’azienda- spiega il neo pentito nelle dichiarazioni rese a verbale e depositate aggi in aula davanti ai giudici del Tdl- sono state originariamente tratte da un risarcimento per ingiusta detenzione da me patita nel 1999, a seguito dell’operazione “Krimisa”. L’ammontare del risarcimento era intorno agli 80mila euro”. Un’attività quella della Meplacart iniziata prima in un locale a via Omero poi con il moltiplicarsi degli affari Farao si mise alla ricerca di un capannone. “Ricordo che ad aiutarmi fu Pino Sestito affiliato alla consorteria di Cirò e vicino a mio padre”.

Il nome dei Farao per l’ascesa economica. Francesco Farao riferisce ai magistrati di non essere stato “battezzato” nonostante sia figlio del boss Farao capo del locale di Cirò Marina, ma quel cognome lo avrebbe aiutato e non poco per l’ascesa della sua attività commerciale. Avrebbe aiutato lui e i suoi soci ad aumentare la clintale fino a fatturare con la Meplacart 900mila euro annui. “ Il fatto di chiamarmi Farao faceva sì che i titolari dei negozi – spiega il neo pentito- si rifornissero dalla mia azienda, ma non ho mai imposto la fornitura dei miei prodotti. E’ chiaro che in segno di rispetto diversi negozianti cambiarono fornitore preferendomi o riducevano la quota dei precedenti fornitori per accontentarmi”. Tra i clienti che gli avrebbero indicato i prezzi praticati dai precedenti fornitori risultano, a detta del pentito, Parrilla e Affatato, entrambi gestori di supermercati Conad ubicati a Cariati e Cirò Marina.

Le raccomandazioni del boss dal carcere. Per qualsiasi necessità Francesco Farao e i fratelli Vincenzo e Vittorio potevano rivolgersi a Pino Sestito e Salvatore Marrone, Vito Castellano affiliati della consorteria di ‘ndrangheta operante a Cirò. Sono i nomi raccomandati dal boss Giuseppe e a cui Francesco Farao ha fatto riferimento in più di un’occasione. “Considerate che prima del 2011, ossia prima di aprire l’attività Meplacart io ero dipendente della Syndial con sede a Cirò. Lo stabilimento aveva chiuso ed io avevo necessita’ di iniziare un’attività aziendale che mi assicurasse i guadagni”. Costituita la Meplacart, Francesco Farao venne convocato da Martino Cariati nella sede della sua attività la “Universal Distribution”. Cariati, come riferisce il pentito è affiliato, quindi battezzato e legato da rapporti cognatizi con l’altro affiliato alla cosca e battezzato Giuseppe Spagnolo in quanto hanno sposato le due sorelle Aloe, figlio di Nick Aloe il vecchio capo del locale di Cirò. Cariati lo avrebbe rimproverato di aver aperto un’attività concorrenziale alla sua , dicendo “ noi appartenenti alla cosca Farao non avremmo dovuto porci in concorrenza”, tutti i componenti della cosca avrebbero dovuto agire in regime di monopolio. Ma la preoccupazione maggiore per Cariati sarebbe consistita nel fatto che la popolazione di Cirò, avrebbe potuto pensare che tra Cariati e il boss Giuseppe Farao “ci fossero dei disaccordi “, visto che due aziende diverse vendevano gli stessi prodotti. Stesso discorso sarebbe stato fatto dal cognato Giuseppe Spagnolo nel frattempo sopraggiunto all’incontro. Seguendo le direttive del padre Francesco Farao chiese aiuto a Morrone, seguirono gli incontri con Castellano, Sestito, Morrone insieme al padre del socio Cataldo Siciliani Giuseppe, in seguito ai quali la situazione si sarebbe risolta “dopo l’intervento di Morrone l’attività poteva proseguire”.

L’imprenditore che trova lavoro agli “accoscati”. A provvedere alla sistemazione del fratello Vittorio Farao ci avrebbero pensato Ciccio Castellano, Salvatore Morrone, Giuseppe Sestito e Giuseppe Spagnolo. Lo hanno fatto assumere in una delle numerose aziende possedute dall’imprenditore Franco Gigliotti, che opera nella zona di Parma ma originario di Torretta di Crucoli. Un imprenditore molto legato, a detto del collaboratore di giustizia, alla cosca Farao. “So che Gigliotti era solito assumere figli o membri della cosca. Ad esempio oltre ad avere assunto mio fratello , ha assunto il nipote di Cataldo Marincola”. Gigliotti avrebbe operato una serie di favoritismi per gli “accoscati”, remunerandoli maggiormente rispetto agli altri operai. “A riprova di ciò possi dirvi che mio fratello Vittorio e lo stesso nipote di Cataldo Marincola prendevano diverse centinaia di euro in più sulla busta paga rispetto agli altri operai”. Gigliotti, in base a quanto riferito dal neo pentito, procedeva alle assunzioni degli “accoscati” creando società intestava formalmente a terzi. La corresponsione di somme a favore dei componenti della cosca così come l’assunzione degli stessi avrebbe garantito a Gigliotti vantaggi economici. “Considerate però che Gigliotti, soprattutto tramite Peppe “U Bandito” ha imbastito alcune attività nel territorio cirotano capaci di aumentare gli interessi economici della consorteria, mi riferisco in prima battuta alla società Ag Film, la cui azienda ha subito diverse denominazioni ma di fatto è stata sempre gestita da Francesco e Gaetano Aloe, figli di Nick Aloe e cognati di Spagnolo e Cariati”. Un’ azienda che produceva sacchi per la raccolta di rifiuti solidi urbani e operava anche nel campo della raccolta della plastica, società di cui si serviva la Meplacart acquistando prodotti. Il pentito ha riferito come i titolari dell’Ag film ne avessero dissipato il patrimonio al punto che Gigliotti è dovuto intervenire per acquistare l’azienda e risanare i debiti comprandola ad un valore di 300mila euro, “un prezzo esorbitante rispetto al valore reale di 30, 40mla euro. “Acquisto avvenuto due o tre anni fa e Gigliotti ha provveduto a cambiare sede e denominazione da Ag film a G-Plast”.

Il sostentamento carcerario alla cosca. “Ricordo che nel periodo in cui mio fratello ha iniziato a lavorare per Gigliotti, dal 2013 in poi, Vittorio era solito tornare da Parma con dei soldi in contanti che Franco Gigliotti appositamente consegnava per il sostentamento carcerario di nostro padre Giuseppe Farao”. Il fratello Vittorio gli avrebbe riferito che Gigliotti periodicamente pagava la stessa detenzione di Cataldo Marincola, tramite del nipote, così come avrebbe finanziato Giuseppe Spagnolo detto “U bandito”.

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