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Scioglimento Lamezia, la relazione di Minniti: “Illecita acquisizione di voti”

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Dal dossier emergono particolari inquietanti sulla gestione dell’ente: “Diffuso quadro di illegalità” e “frequentazioni tra amministratori e appartenenti alla ‘ndrangheta”

Lo scioglimento del Comune di Lamezia, decretato il 22 novembre scorso, sul “tavolo” del presidente della Repubblica con la relazione del ministro dell’Interno, Marco Minniti, che “fotografa” la situazione dell’ente lametino, chiarendo alcuni aspetti. Dalla quale relazione del capo del Viminale emerge che “fonti tecniche di prova hanno attestato come la campagna elettorale per il rinnovo degli organi elettivi sia stata caratterizzata da un’illecita acquisizione dei voti che ha riguardato, direttamente o indirettamente, esponenti della maggioranza e della minoranza consiliare”.

Dalle inchieste della Dda allo scioglimento. In particolare, il ministro sottolinea come la relazione del Prefetto alla luce dell’accesso antimafia, effettua un “raffronto tra le risultanze dell’accesso attuale e quelle che diedero luogo agli scioglimenti per infiltrazioni nel 1991 e nel 2002 rinvenendo, in assoluta continuità, la persistenza delle medesime dinamiche collusive e dell’operatività degli stessi personaggi di spicco delle organizzazioni criminali dominanti in quel territorio”.
L’accesso era stato disposto dal prefetto di Catanzaro Luisa Latella nel giugno 2017, dopo un’inchiesta della Dda contro le cosche cittadine, nell’ambito della quale sono stati indagati un consigliere comunale ed il vice presidente dello stesso Consiglio.

‘Ndrangheta&politica. Nella relazione si afferma che “ulteriore rilevante elemento che evidenzia un contesto ambientale compromesso è rappresentato dalla sussistenza di cointeressenze, frequentazioni, rapporti a vario titolo tra numerosi componenti sia dell’organo esecutivo che di quello consiliare con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata”. Al riguardo, la relazione del prefetto citata da Minniti fa riferimento alla posizione del sindaco Paolo Mascaro, eletto a capo di una coalizione di centrodestra, e del suo vice, entrambi avvocati, che, eletti nel maggio 2015, sino ai primi mesi del 2016 “hanno assunto, contemporaneamente, la veste di difensori di fiducia di esponenti di massima rilevanza delle cosche e di loro sodali e quella di organi di vertice dell’amministrazione comunale”. La rinuncia all’incarico di difensori, si fa presente nella relazione, è giunta “solo a marzo e maggio 2016, a seguito della costituzione di parte civile del Comune nei processi” e “il mandato conferito al sindaco è stato assunto da altro professionista in stretti rapporti di affinità con il primo cittadino”.

Quadro di illegalità. La commissione d’accesso fotografa una “diffuso quadro di illegalità in diversi settori dell’ente” e un “generale disordine amministrativo” funzionale al mantenimento di assetti predeterminati “con soggetti organici o contigui alle organizzazioni criminali egemoni ed al consequenziale sviamento dell’attività di gestione dai principi di legalità e buon andamento”. Nel dossier si fa preciso riferimento all’affidamento per 15 anni di un bene confiscato ad una cooperativa “pressoché inattiva perché sottoposta ad indagini per indebite percezioni di erogazioni pubbliche” e con due dei soci “gravati da pregiudizi penali ed uno di loro riconducibile ad esponenti della criminalità”. Si parla, tra l’altro,  dell’esistenza di “un vero e proprio ‘sistema’” nel settore dei lavori pubblici “che consente di aggiudicare appalti sempre alle medesime ditte” e si denunciano irregolarità nell’affidamento del servizio mensa scolastica ed in quello sul verde pubblico.

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