Cronaca

Tentato omicidio e associazione mafiosa, crolla l’accusa in appello contro 3 rosarnesi

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Arena, Rao e Cannatà sono imputati nel processo “Lupus in fabula”. In secondo grado condannati solo per le armi

Stravolta la sentenza di primo grado del processo denominato “Lupus in fabula”. I giudici di Appello hanno confermato solo l’accusa di armi per i tre imputati di Rosarno Biagio Arena, Vincenzo Cannatà e Rosario Rao, coinvolti nell’operazione della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

La sentenza Arena, difeso dagli avvocati Michele Novella e Giancarlo Pittelli, era stato condannato in primo grado a 16 anni di carcere diventati 4 e otto mesi in secondo grado. Cadono, per Arena, le accuse di associazione mafiosa, tentato omicidio e l’aggravante mafiosa in merito alle armi. Cannatà (avvocato Novella), invece, che in primo grado erano stati inferti 11 anni di carcere per tentato omicidio, è stato assolto dai giudici reggini. Rao, infine, accusato di associazione mafiosa e armi, aveva rimediato in primo grado una condanna a 12 anni e quattro mesi di carcere. Nella sentenza emessa ieri dalla Corte d’appello di Reggio Calabria è stato condannato a 6 anni solo per le armi. Quest’ultimo è difeso dagli avvocati Guido Contestabile e Gambardella

L’accusa Secondo l’accusa sostenuta dalla Dda reggina, i tre avrebbero pianificato il tentato omicidio di un uomo rimasto senza volto attraverso l’uso di una chat dei loro telefoni cellulari: dalla scelta dell’arma, al mezzo da impiegare, fino alla strategia da usare per portare a termine il delitto. Le loro conversazione attraverso la chat, però, erano state intercettate e il 7 novembre 2013 i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria aveva eseguito il decreto di fermo emesso dalla procura antimafia di Reggio Calabria.

Condannati solo per le armi Il delitto però non è stato compiuto perché pare che nei due appostamenti realizzati non era stata incontrata la vittima. Un altro reato contestato, è quello di detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra. Si tratterebbe nello specifico di un fucile kalasnikov, una pistola semiautomatica “glock”, una pistola automatica “uzi”, con relativo munizionamento. Impianto accusatorio, però, che non ha retto all’esame della Corte d’appello di Reggio Calabria che ha demolito la sentenza di primo grado e condannando solo Arena e Rao per le armi facendo cadere le accuse di associazione mafiosa, tentato omicidio e l’aggravante mafiosa riferita alle armi.

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