Cronaca

‘Ndrangheta, chiesti 25 anni di carcere per la donna-boss del clan Bellocco

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Nel processo d’appello, oltre ad Aurora Spanò, figura anche Giulio Bellocco, condannato in primo grado a 18 anni. Chiesta l’assoluzione per i due vigili urbani

La Procura generale di Reggio Calabria ha chiesto la conferma delle pene inflitte in primo grado per cinque dei sette imputati nel processo “Tramonto” che hanno scelto il rito ordinario. Al centro dell’inchiesta, contro la costola della cosca Bellocco che opera a San Ferdinando, c’è Aurora Spanò la compagna di Giulio Bellocco considerata il capo promotore dell’associazione mafiosa. La procura generale ha chiesto per la donna la conferma della pena inflitta in primo grado, vale a dire 25 anni di carcere, otto in più del compagno Giulio Bellocco, condannato a 18 anni di reclusione.

clan bellocco

Aurora Spanò

Assoluzione per i vigili Gli altri imputati nel procedimento sono Giuseppe Stucci, comandante della polizia municipale di San Ferdinando, e l’agente Giuseppe Spanò, condannati dal Tribunale di Palmi a 3 anni e mezzo e tre anni. Per i due membri della polizia locale, la procura generale ha chiesto l’assoluzione. Conferma della pena, invece, per Antonio e Gaetano Secolo, condannati in primo grado a tre anni, e Maria Grazia Secolo ad un anno e sei mesi.

La genesi del processo L’inchiesta nasce dalle dichiarazioni alla Dda di Stefania Secolo. Da quelle dichiarazioni iniziarono le indagini che portarono alla maxi operazione “Tramonto”. La Secolo era amica di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia morta in circostanze misteriose ingerendo acido nell’agosto 2011, e a lei si era rivolta per discutere della pretesa della Spanò e del suo compagno Bellocco, di entrare in possesso di alcuni appartamenti a Rosarno di proprietà della famiglia Secolo. Quando inizia a collaborare con la magistratura, la Cacciola racconta di quella storia di usura, di quel prestito di 600mila euro che la Spanò e Bellocco concedono a uno dei fratelli di Stefania, a tassi usurari che arrivano al 27%. Antonio Secolo, imprenditore edile con il fratello Gaetano nella provincia di Brescia, si indebita per 1 milione di euro. Non riesce a ridare indietro i soldi, e i Bellocco pretendono, come parziale risarcimento, di diventare proprietari della palazzina di famiglia, dove vivono Stefania e le sue sorelle con i mariti. I suoi fratelli negano e finiscono nei guai. Quando scatto l’operazione contro i Bellocco ci finiscono dentro, accusati e poi condannati in primo grado per favoreggiamento.

Il boss di San Ferdinando Non è il suo compagno a guidare la cosca sanferdinandese dei Bellocco, secondo la Dda di Reggio Calabria, ma la Spanò. Sarebbe lei a gestire il giro di usura e di estorsione che fa capo al clan. È lei che rinchiusa in carcere per un’altra vicenda pretende di essere “servita” dalla sua compagna di cella. Il diniego della donna, che rinfaccia alla Spanò di non essere una Bellocco, costa caro Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, Aurora avrebbe dato mandato al figlio Carmelo Bellocco di pestare il marito della sua compagna di cella. Compito viene eseguito, perché gli ordini di un boss non si discutono.

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