Cronaca

I Molé, i Piromalli e l’omicidio Ioculano, la mala gioiese raccontata dal pentito Mesiani

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Il collaboratore di giustizia parla del presunto killer del medico di Gioia, della rottura tra i due clan e dello scontro tra Nino “u niru” e Domenico Stanganelli

di FRANCESCO ALTOMONTE

I motivi della rottura con i Piromalli, lo scontro per il comando tra le nuove leve della cosca Molé e un inquietante particolare che evoca fantasmi, una delle pagine più nere della storia di Gioia Tauro: l’omicidio di Gigi Ioculano. La deposizione di ieri mattina di Pietro Mesiani Mazzacuva, davanti alla Corte d’assise di Palmi, ha riguardato solo in minima parte l’oggetto del processo, vale a dire la faida di Gioia Tauro del 2005. Il cognato di Domenico “Mico” Molé, pentitosi dopo il suo arresto nel luglio 2014 nell’operazione “Mediterraneo, ha parlato di 30 anni di malavita gioiese, del perché si sarebbe arrivati all’omicidio di Rocco Molé nel febbraio 2008, della totale estromissione del clan Molé dagli affari illeciti nella città del porto.

Marcello-Giacobbe

Marcello Giacobbe

L’omicidio Ioculano L’omicidio di Ioculano, avvenuto il 25 settembre 1998, colpì profondamente l’opinione pubblica, non solo per la dinamica e l’efferatezza del delitto, ma per il valore tristemente simbolico che quell’assassinio portava con sè. “Il dottore”, come era conosciuto in città, era infatti impegnato in prima persona – attraverso l’associazione culturale Agorà, di cui era stato il fondatore e uno dei maggiori animatori – nel tentativo di rilancio di Gioia Tauro attraverso l’impegno civile e facendo della legalità una pratica quotidiana. Erano anni difficili a Gioia, in cui il consiglio comunale fu sciolto per infiltrazione mafiosa. Ebbene, Ioculano scelse di impegnarsi anche politicamente, appoggiando l’elezione nel 1995 del sindaco del Pds Aldo Alessio, politico di cui si ricorda l’impegno profuso contro la criminalità organizzata. Il processo intentato dalla procura di Palmi tra il 2006 e il 2007, aveva portato alla condanna in primo grado del boss Pino Piromalli, considerato il mandante dell’omicidio, e di Rocco Pasqualone, quale esecutore materiale del delitto. La condanna di primo grado, però, fu ribaltata dall’assoluzione della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria e poi dalla Cassazione. Mesiani Mazzacuva, però, nel corso dell’udienza di ieri, parlando degli omicidi compiuti a Gioia nel 2005, ha sostenuto di avere appreso da un suo conoscente che nell’uccisione di Luigi Ioculano, c’entrava Marcello Giacobbe, imputato per l’omicidio di Rocco Albanese nel processo “Atlantide”. “Nella famiglia Molé – ha detto Mesiani – di quel delitto non si parlava, non so perché. Una volta, però, parlando con A. C. mi disse che il dottore Ioculano era stato ucciso per il suo impegno politico e che c’entrava Marcello Giacobbe”. 

Pino-Piromalli

Pino Piromalli

Antonio-Piromalli

Antonio Piromalli

Niente affari per i Molé Un tempo erano insieme, imparentati, un monolite che controllava con ferocia la città del porto, gestiva al 50% gli affari illeciti con i Piromalli, estorsioni e appalti pubblici. Un tempo c’erano Mommo e Pino Piromalli, Mommo e Mico  Molé. Si chiamavano cugini, gli arresti hanno sepolto in carcere i vertici delle due cosche e questo ha portato all’arrivo di nuove leve, all’esplosione di rancori e scontri più o meno palesi. Mesiani racconta che già sul finire del 2007, alcuni mesi prima dell’omicidio di Rocco Molé (in quel momento reggente del clan) c’era un scontro in atto tra le due famiglie. Una prima frattura è di natura economica: Rocco Molé si lamentava che la sua famiglia aveva pagato un prezzo carissimo per l’alleanza con i Piromalli e che adesso “erano morti di fame”. “Ci fu una lite – ha aggiunto Mesiani – tra Rocco e Antonio Piromalli su chi dovesse costruire per primo i nuovi capannoni nell’area industriale di Gioia Tauro, nella zona del parco commerciale Annunziata”. Inoltre anche i giovani Molé, Nino ’89 “u niru” e Nino ’90 “i iancu”, erano entrati in rotta di collisione con Girolamo “Mommino” e Luca Piromalli per avere difeso un loro amico”. “Quando Rocco Molé fu ucciso – ha sottolineato il collaboratore – la famiglia imputava la responsabilità ai Piromall. Il loro ragionamento era semplice: sono stati loro, o non hanno fatto nulla per evitarlo”. Quella convinzione, però, non fu mai tradotto in azione: la vendetta, secondo Mesiani, era impossibile “perché i Molé a Gioia Tauro non c’erano più. Subito dopo l’omicidio Antonio Albanese, nonno di Nino “u nieru” porto quest’ultimo e mio nipote Nino “U iancu” in Marocco per tre mesi, per evitare che gli capitasse qualcosa. Subito dopo, scattarono le operazioni della Dda “Cent’anni di storia” e “Maestro”, nella quale i due Nino, le madri dei due, Domenico Stanganelli, Albanese, Antonio Piromalli, finirono in carcere e tutto si fermò”. Intanto, però, i Molé erano stati estromessi da tutti gli affari illeciti: “Domenico Stanganelli parlava troppo – ha affermato Mesiani – dice a tutti che si sarebbe vendicato, così i Piromalli decisero di estrometterli da qualsiasi affare (anche quella da 150mila euro a Annunziata che fino a allora era stata divisa), almeno questa fu la giustificazione che venne data. Tra l’altro confermata anche a Antonio Albanese da Mommino Piromalli in un colloquio in carcere”. 

Domenico-Stanganelli

Mommo Stanganelli

Rocco-Mole?

Rocco Molè

Scontro tra rampolli Il vuoto di potere nella cosca Molé fu riempito alla scarcerazione di Domenico Stanganelli e di Nino “U niru”. “I due – ha osservato Mesiani – non erano all’altezza dei genitori, anche perché fino alla morte di Rocco Molé erano stati tenuti fuori dalle decisioni. Inoltre entrambi volevano comandare: Nino perché figlio del boss Mommo, Stanganelli perché più grande di età”. Secondo quanto ha raccontato Mesiani, Stanganelli avrebbe proposto al cugino di “comandare insieme, estromettendo Antonio Albanese e Ernesto Modafferi dalle decisioni, ma la strategia da adottare per vendicare Rocco Molé non portò a nessun accordo: Stanganelli voleva una reazione immediata, Nino voleva adottare un’altra strategia”. 

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