Cronaca

Caporalato nella Piana di Gioia Tauro, 21 condanne e tre assoluzioni

rosarno_lavoratori_immigrati.jpg

L’inchiesta “Migrantes” era scattata subito dopo la rivolta della comunità nera di Rosarno. La procura di Palmi aveva chiesto 50 anni di carcere

di FRANCESCO ALTOMONTE

La procura aveva chiesto 50 anni di carcere, il collegio del tribunale di Palmi ne ha comminati 70. Si chiude così il primo grade del processo denominato “Migrantes”, la maxioperazione portata a termine dalla procura di Palmi, all’epoca diretta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo, contro il caporalato nella Piana di Gioia Tauro. Il dibattimento si è concluso con 21 condanne e tre assoluzioni.

La sentenza Queste le condanne: Mohammed Fatthani 4 anni e quattro mesi, Domenico Rosarno, 1 anno e un mese. A due anni e 2 mesi di carcere sono stati condannati Sebastiano Mangano, Maria Pia Mangano, Rocco Bueti, Vincenzo Gerace, Armando Siviglia, Antonio Schiavone e Rocco Galluni; Biagio Arena 3 anni, Brahim Bakar 4 anni e dieci mesi di reclusione, Snezhana Bozhichkova Rakavska 2 anni e tre mesi, Ben Rhouma Mahadaqui Tahar e Mohamed Sadaqui, 5 anni e mezzo, mentre Abuibida Mahemedsias e Wead Abdelsalam 5 anni, Domenico Paglianiti e Rocco Donato 3 anni e tre mesi di carcere, Aissa Bensid 4 anni e due mesi. Il tribunale di Palmi ha assolto Girolamo Russo, difeso dagli avvocati Anna e Maria Concetta Bernava, e Biagio Tramonte e Salvatore Gullini, difesi dall’avvocato Domenico Putrino.

Le indagini L’inchiesta, coordinata dalla procura di Palmi è partita dopo la rivolta dei migranti a Rosarno, ed è stata porata a termine nell’aprile del 2010. Le indagini dimostrarono che nonostante la ribellione e gli scontri avvenuti all’inizio del 2010, non era cessato lo sfruttamento della manodopera in nero dei migranti e neanche il fenomeno del caporalato. Nella richiesta presentata al gup, il procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo e il sostituto Andrea Papalia hanno contestato agli imputati i reati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina straniera e la truffa. Dalle indagini sono emersi molti episodi di minacce e di aggressioni. In alcuni casi i braccianti africani al termine del loro lavoro non venivano neanche retribuiti.