Cultura & Spettacolo

STORIE | La strage degli innocenti a Mileto, il ricordo delle 39 vittime settantaquattro anni dopo

Morirono molti miletesi inermi, tra cui donne e bambini nella carneficina scatenata durante la seconda guerra mondiale. La testimonianza di Antonino Cichello. Il contenuto è stato ripreso dal libro di Vincenzo Varone “Fogli d’autunno”

Siamo a Mileto nell’anno 1943, una cittadina dalle profonde tradizioni religiose, segnata, come tutte le comunità di quegli anni bui e insensati, dalla potenza distruttrice della guerra. Il calendario segna la data del 16 luglio. Nell’aria si avverte prepotente un caldo opprimente e sinistro, quasi il presagio di una giornata infausta. Ed, infatti, così fu. Poco prima di mezzogiorno, un gruppo di persone, per lo più gente di Mileto, ma anche qualcuno proveniente da altri centri del circondario, composto soprattutto da contadini in cerca di salvezza nelle campagne circostanti per sfuggire alla violenza distruttrice della guerra, vennero colpite dalle bombe e dai mitragliatori di alcuni aerei militari. A 39 di loro il destino riservò una fine terribile.

La strage. Il bombardamento avvenne nelle località Carasace, Creta, Jarè, Zifò, Pellegrino, Cuntura e Calabrò. Tra le vittime di quella mattanza diversi furono i bambini. Alcune famiglie, inoltre, subirono più di un lutto come nel caso dei fratelli Antonino, Domenico e Salvatore Pititto detti i “Nennelli” che persero le rispettivi mogli e quasi tutti i figli. Un intero gruppo familiare distrutto nel giro di pochi minuti. Sotto le bombe perirono anche le tre sorelline D’Onofrio, figlie di Francesco e di Maria Concetta Grillo e una giovane madre Caterina Artusa che si sacrificò per fare da scudo al figlio Pasquale, il quale a causa delle bombe rimase privo di un braccio. E nel bagliore sinistro di quel giorno tragico morì in braccio alla madre Maria Cattolica Grillo anche un bimbo di appena quattro mesi Antonio Cichello, che oggi sopravvive nei ricordi della sua numerosa famiglia.

La testimonianza. “Mia madre – ci confidò in occasione del settantesimo anniversario della strage, il pensionato Antonino Cichello, oggi di anni 66, fratello del piccolo Antonio e tra i figli più grandi di una famiglia numerosa di onesti lavoratori – quel giorno rimase anche ferita e rischiò addirittura di perdere l’uso degli arti. Durante la sua vita ci ha sempre parlato di quel giorno, del rumore degli aerei, dell’invito di alcuni compaesani di scappare per mettersi al riparo delle bombe e poi della pioggia di fuoco che annientò un’intera generazione. La mamma – ci disse ancora Antonino Cichello – è morta nel 1995, portandosi dentro fino all’ultimo giorno il dolore per la scomparsa di quel figlio già vispo che aveva tanto desiderato, nonché di tanti altri congiunti. Ma il suo – concluse Cichello – è stato sempre un dolore composto, mai e poi mai l’ho sentita pronunciare parole di odio contro quanti si erano resi responsabili dell’eccidio”. All’epoca per quella stage di innocenti si parlò di errore, di accidentalità, ma anche di un episodio da inquadrare nella volontà degli anglo-americani di terrorizzare la gente per accelerare la caduta del regime fascista.
Un fatto è certo, gli aerei che colpirono i civili inermi provenivano dal campo di aviazione, un importante obiettivo di guerra vicinissimo alla cittadina di Mileto e che proprio quella mattina aveva subito l’ennesimo attacco nel giro di pochi giorni e, in modo particolare, dopo quello violentissimo dell’11 luglio che causò circa ottanta morti. I testimoni di quel giorno riferiranno nell’immediatezza dell’accaduto che gli aerei che poi colpirono i civili miletesi provenivano proprio dal campo d’aviazione di Vibo Valentia e che una volta compiuta la loro missione di distruzione e di morte tornarono indietro per ricongiungersi alla formazione che aveva appena bombardato l’aeroporto.
Finita la guerra per quella strage non venne aperta neppure un’inchiesta per fare luce su quanto accaduto, né i miletesi sconvolti dalla fame e dalle sofferenze del conflitto mondiale e provati dal dolore ebbero la forza per chiedere giustizia.Oggi di quel 16 luglio 1943, al quale gli scrittori Giuseppe Occhiato prematuramente scomparso da qualche anno e Filippo Bartuli hanno dedicato pagine memorabili, rimane la lapide delle vittime di quella carneficina, eretta davanti alla chiesa di San Michele con i nomi della vittime, allineati in ordine alfabetico, la medaglia di bronzo al valor civile concessa alla città di Mileto il 16 luglio del 2008 quale “grande esempio di spirito di sacrificio” e la intitolazione avvenuta un anno fa, su stimolo dell’associazione culturale “Studi storici miletesi” della scuola dell’infanzia di Mileto-centro alle sorelline D’Onofrio, tra le vittime del bombardamento. Il resto è custodito nel cuore della gente della cittadina normanna che puntualmente ogni anno ricorda le vittime di quel giorno “in cui –come scrisse Giuseppe Occhiato – della carne cristiana si fece tonnina”.