Cultura & Spettacolo

UN CALABRESE ALLE IENE | Angelo De Luca, la storia di Nicholas Green e l’informazione asservita

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Il giovane autore del programma di Italia 1, senza giri di parole, boccia l'informazione piegata alla casta, ritorna su una delle sue "più brutte esperienze professionali" e non risparmia neppure la magistratura "militarizzata"


E' rimasto un po' bizzarro come sempre era stato. Non ha perso lo spirito che lo aveva contraddistinto fin da quando, giovanissimo, si era affacciato al giornalismo. In fondo, Angelo De Luca, trentatreenne cronista di origini vibonesi, non ha mai fatto nulla per nascondere alcuni tratti del proprio carattere. Irriverente, diretto, sarcastico, pungente. E dopo anni di alti e bassi, di esperienze che non lo hanno del tutto gratificato, dopo un primo approccio ai media nazionali, nella trasmissione di Michele Santoro Servizio Pubblico, è approdato qualche mese addietro alle Iene, ma non si è  "eclissato". Non ha dimenticato la sua terra. Visto che spesso da Milano fa spesso capolino in Calabria per trovare e raccontare un lembo d'Italia che continua ad essere vittima dei suoi mali atavici. Altre volte riesce ad affrontare vicende legate alla Punta dello stivale, anche da lontano. Ultima storia in ordine di tempo la vicenda di Nicholas Green, il bambino ucciso per errore nel 1994 in autostrada, tra gli svincoli di Mileto e Rosarno, la cui morte ha dato la vita ad altre sette persone. 

Le Iene sono tornate ad occuparsi della storia di Nicholas Green e tu sei ritornato in Calabria, non è la prima volta che accade da quando lavori a Milano per il programma di Italia1. Che ricordo conservi di quella tragedia e quali sensazioni ha rivissuto?

Avevo 10 anni quando Nicholas è stato ucciso. Quel giorno di ottobre del 1994 ricordo che a scuola le maestre ce ne parlarono intensamente e subito noi bambini ci attivammo per onorare la memoria di quel bambino. La sua innocenza rubata era del resto anche la nostra. Non so, ho sempre vissuto quella tragedia un po' come una colpa. Per chi abita in Calabria ad omicidi e malavita ci fa quasi l’abitudine, ma la storia di Nicholas fu una pagina ancora più vergognosa. E, onestamente, quando sento dire “ucciso per sbaglio” mi incazzo ancora di più. Tipo che se fosse stato ucciso qualcun altro sarebbe stato meno grave o tipo che sottolineando “lo scambio di persona” si tende a dare una sorta di giustificazione al fatto. La ‘ndrangheta uccide pure i bambini, non credo ci possano essere dubbi e tentativi di attribuzioni di regole e “onori” da difendere.

Quali le sensazioni dell'uomo e del giornalista a contatto con un uomo forte come Reginald Green?

Conoscere persone come papà Reginald è un po' come conoscere un super eroe. E’ impressionante la sua lucidità di pensiero, il suo amore verso l’umanità, la sua totale devozione alla vita. Ho conosciuto poche persone che hanno cancellato dal vocabolario la parola odio. E Reginald è uno di quei pochi.

La tua esperienza con una storia toccante che racconta un pezzo di Calabria. Perchè avete deciso, dopo anni, di tornare ad trattare la vicenda?

Era da tempo che pensavo e ripensavo a un racconto di questo tipo. Di Nicholas e del gesto d’amore della sua famiglia si parla da sempre. La storia di Nicholas è molto conosciuta. Però c’era qualcosa che mancava, perché questa vicenda meritava una narrazione intima e reale. Era doveroso da parte mia, quasi come a voler chiedere chiedere ulteriormente scusa per il dolore causato dalla mia gente, impostare un lavoro basato principalmente sugli effetti della donazione. Cioè, secondo me dopo 22 anni bisognava andare oltre il ricordo dell’accaduto, tentando di spiegare cosa quel gesto oggi ha comportato. Maria Pia, la donna siciliana che ha il fegato di Nicholas, senza quel nuovo organo oggi probabilmente sarebbe morta, mentre invece è felicemente sposata con due figli. Così ho raccolto in questi mesi molte informazioni sulle donazioni in generale, ho avuto poi la fortuna di sapere che Reginald era in Italia e infine ho chiesto a Nina Palmieri la sua disponibilità perché nessuno meglio di lei avrebbe saputo interpretare questi sentimenti.

Da poco tempo è iniziata la tua esperienza alle Iene. Attraverso quali tappe sei riuscito ad approdare ad un programma così prestigioso e seguito?

La mia esperienza a "Le Iene" inizia davvero per caso e anche per fortuna. Dopo una delle più brutte esperienze professionali mai vissute in vita mia e dopo essermi licenziato per giusta causa dall'azienda dove lavoravo, sono stato a Marzabotto a ritirare un premio giornalistico per un lavoro fatto nella tendopoli di Rosarno assieme al fotografo Saverio Caracciolo. In quella occasione ho conosciuto tante persone, tra cui la Iena Gaetano Pecoraro. Il giorno dopo sono stato chiamato dal papà de Le Iene Davide Parenti per un colloquio a Milano. E oggi sono qua a rivivere una vita professionale stimolante e appagante sotto tutti i punti di vista.

Tornare in Calabria significa rimettersi ad osservare gli atavici problemi e i difetti di questa terra. Quanta omertà hai trovato in giro ?

Omertà? Quando siamo stati a San Martino di Taurianova con Nadia Toffa per capire perché la gente ancora pensava male di Anna Maria Scarfò ho trovato tutto tranne che omertà. Nessuno si è nascosto e nessuno ha finto. Anzi, a fine intervista si è scatenata la solita selfie-mania e i soliti inviti a pranzo tipici dell'accoglienza calabrese. Le Iene sono amate dovunque!


Come venite accolti? Che generi di di servizi si fanno nel Mezzogiorno è in Calabria?

Non esistono "generi" di servizi che si fanno in Calabria. Noi seguiamo le storie, i fatti. Pur non essendo una testata giornalistica, ma un programma di info-tainment, ho riscontrato più etica e deontologia qui che in una redazione di un grande giornale italiano. Il controllo sui pezzi è maniacale, ogni aspetto deve essere curato per non essere attaccabile da nessuno. Per noi la Calabria è solo un punto geografico, a noi interessa - ripeto - la storia, il fatto, l'ingiustizia. Ovunque siano.

Pensavo ci fossero situazioni più comuni all'estremo Sud rispetto ad altre aree del paese

Non ci sono situazioni più comuni rispetto ad altre aree. Sotto questo punto di vista noto gli stessi atteggiamenti dovunque. Solo che in Calabria magari rischiano di avere una diversa considerazione. E' il prezzo da pagare per la nostra condizione sociale, purtroppo.

Vista dall'esterno come è cambiata negli anni la società calabrese ? Pensi che storie come quelle di Nicolas possano risvegliare le coscienze assopite abituate, salvo rari casi, a convivere con le leggi della Ndrangheta?

Non so, siccome sono nato e cresciuto, andato via e tornato e di nuovo andato via, credo di poter dare il mio parere sulla Calabria. Nei tempi in cui ho lavorato giù, sia nella prima che nella seconda esperienza, ho sempre cercato di improntare il mio giornalismo con due metodi precisi: la logica e la dissacrazione. Cioè, è impossibile scrivere senza prendere in giro le persone che governano a tutti i livelli la nostra regione, imprenditori e intellettuali compresi. Parliamo di gente incapace, grottesca, ruffiana nella migliore della ipotesi. Nella peggiore userei solo una parola: ridicoli. Sono davvero pochi i personaggi politici e imprenditoriali che meritano di essere menzionati tra i "buoni". Questa ovviamente è la dissacrazione. La logica, invece, è la realtà dei fatti. Trovatemi una regione gestita peggio della Calabria. E mi dispiace per la società civile, per tutti quelli che vorrebbero fare ma sono o impauriti o con poca voglia di condividere il loro contributo con questa gente. Amo la mia terra e amo la gente semplice che la abita, mentre non tollero chi continua a prendere in giro tutti e chi pensa di fare il bene dei calabresi dall'alto della sua villa al mare. Chi fa giornalismo ha una responsabilità seria, specialmente in Calabria. Deve raccontare i fatti e deve raccontare la società. Se sei libero puoi permetterti di osare, se non lo sei è inutile che lo spiego e se lo sei a metà devi stare accucciato ad aspettare le notizie da questo o quel magistrato.

Stai dicendo che l'informazione regionale è piegata ai poteri forti?

Peggio. Sto dicendo che buona parte dell'informazione regionale si piega senza per forza avere qualcosa in cambio dai poteri cosiddetti forti. In Calabria c'è gente che paga per vendersi. Lo fanno perché vogliono stare con il più forte, perché si sentono più sicuri. Chiaramente questo non è il male assoluto, ma sicuramente è un male perché ancora molta gente comune crede nel giornalismo come unica salvezza. Salvezza che, ripeto, può essere l'articoletto contro un sindaco che non ha mantenuto le promesse su per esempio una fogna da aggiustare

Fuori dalla nostra regione e dal Mezzogiorno, questa cappa si avverte meno? Non è così anche altrove?

Di sicuro fuori della nostra regione la cittadinanza ha quanto meno garantiti i diritti minimi. Strade, ospedali, trasporto pubblico, scuole più efficienti, ambiente più tutelato.
Diritti e non favori per i quali genuflettersi dinanzi al sindaco, al consigliere regionale e al parlamentare di turno... Esattamente il contrario di quanto succede in Calabria. In Calabria la politica e mala imprenditoria giocano sulla disperazione della povera gente. Loro hanno la villa, fanno una bella vita e gli altri vanno a bussare alle loro case per chiedere quel favore che gli spetta però di diritto.

Abbiamo iniziato con Nicolas, chiudiamo con Nicolas: quella vicenda, Angelo, ci ha insegnato che tanti calabresi sanno anche agire in modo diverso. Non è retorica, tu credi ancora in un'inversione di rotta?

Io ho solo paura che dalla supremazia di una politica malata e collusa passiamo alla supremazia di una magistratura spietata e militarizzata. Credo nei calabresi onesti. E l'inversione di rotta, seppur lenta, la sto iniziando già a vedere. Ma ne riparliamo tra 10 anni...