Cronaca

Processo al clan Patania, il pm chiede 5 ergastoli in abbreviato per l’omicidio Matina

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La Procura distrettuale ha invocato il carcere a vita per la moglie del boss defunto Fortunato Patania e per i suoi quattro figli  Nazzareno, Saverio, Salvatore e Giuseppe Patania 

Era il marito di Loredana Patania Giuseppe Matina, rimasto vittima della faida del Mesima che ha mietuto vittime in serie tra l’autunno del 2011 e l’estate 2012. Giuseppe Matina, proprio lui, “Gringia” dal cui nomignolo gli inquirenti presero spunto per denominare l’operazione che ha portato dietro le sbarre tutto il clan Patania di Stefanaconi, riconosciuto di recente come associazione mafiosa in primo grado dal Tribunale di Vibo Valentia.

camillo-falvoLe richieste del pm. Ebbene, quella odierna è stata la giornata delle richieste del pubblico ministero della Dda di Catanzaro Camillo Falvo, per gli imputati del tentato omicidio prima e dell’agguato mortale poi a Giuseppe Matina, nell’ambito del processo con rito abbreviato davanti al Gup. Il pm certo non è andato per il sottile e rivolgendosi al Tribunale ha chiesto pene severissime per la famiglia del boss defunto di Stefanaconi, ucciso all’interno della sua pompa di benzina nel settembre 2011. La Procura ha invocato la pena dell’ergastolo per Giuseppina Iacopetta, vedova del boss di Stefanaconi e per i suoi figli Giuseppe, Nazzareno, Saverio e Salvatore Patania. Trent’anni, invece, la richiesta di pena formulata dal pm per Nicola Figliuzzi di Sant’Angelo, frazione di Gerocarne.   

Il tentato omicidio. Giuseppe Matina (nella foto) sarebbe stato fatto ripetutamente oggetto di una pioggia proiettili. La prima volta, il 27 dicembre 2011 mentre si trovava a bordo della sua utilitaria lunga la strada provinciale che collega Stefanaconi ai centri dell’Alto Mesima. A sparargli sarebbero stati, secondo le ricostruzioni di Loredana Patania, moglie di Matina poi divenuta collaboratrice di giustizia, Cosimo Caglioti e Francesco Lopreiato, per i quali si procede ad un giudizio separato. Alessandro Bartolotta, invece, avrebbe provveduto ad avvisare gli altri facendo da “palo”.  

L’agguato mortale. L’appuntamento con la morte per Matina era stato, tuttavia, solo rinviato. Il giovane fu ucciso due mesi più tardi. Nel tardo pomeriggio del 20 febbraio 2012 venne finito nel giardino di casa, mentre era intento a concludere la sua giornata di lavoro nei terreni. Un’area isolata, nella zona rurale di Stefanaconi, non lontano dalla valle del Mesima. I killer colpirono senza pietà, incuranti della presenza di altre persone, tra cui moglie e prole della vittima. La sua disperata richiesta di perdono non servì a nulla. Secondo l’accusa, Arben Ibrahimi, il killer venuto dall’est ed assoldato dal clan e Cristian Loielo lo uccisero senza pietà. Nell’azione di fuoco un ruolo fondamentale ebbero, secondo l’accusa, Nicola Figliuzzi che gli fornì il furgone e Damiano Caglioti che avrebbe fornito le armi. 

Il filone principale. Questo procedimento si riferisce a fatti connessi alla faida tra i Patania e i Piscopisani, già oggetto del filone principale del processo Gringia che ha visto emettere la sentenza di primo grado con ben otto ergastoli e due assoluzioni.  Tra le persone condannate al carcere a vita, oltre ai fratelli Salvatore Patania 38 anni di Stefanaconi, Saverio Patania, 40 anni di Stefanaconi e Giuseppe Patania 36 anni di Stefanaconi, anche Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, 55 anni,  Cristian Loielo, 25 anni, di Sant’Angelo di Gerocarne; Salvatore Callea, 49 anni, di Oppido Mamertina; Francesco Lopreiato, 30 anni, di San Gregorio d’Ippona; Giuseppe Comito, 40 anni, di Vibo Marina. Cosimo Caglioti, 28 anni, di Sant’Angelo di Gerocarne è stato invece condannato a 30 anni di galera. La prossima udienza del processo è attesa per il 22 maggio mentre la sentenza è prevista per il 26 giugno. 

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