Cultura & Spettacolo

Il dilemma tutto vibonese, Sant’Aloe o Stanislao D’Aloe?

Uno studio accurato permette di dire la parola definitiva su una questione complessa su cui si concentra da anni il dibattito storico-culturale

di MICHELE LA ROCCA

In questi giorni tante persone stanno visitando la zona delle terme romane con bellissimi mosaici, nella porzione di parco archeologico sita in località “S.Aloe” di Vibo Valentia. Sui cartelli si legge proprio così: “S. Aloe” quasi che si abbia paura a sciogliere un nodo controverso, ma facilmente risolvibile. In quei cartelli e in tutte le indicazione va scritto per intero: “Sant’Aloe” e non Stanislao Aloe (con questo nome non risulta nessun ruchiamo nella toponomastica ufficiale della città). Non bisogna temere di incorrere in errore.

Il dilemma. Quanto andiamo dicendo sembra senza senso, in realtà è importante perché il nome di una zona, di una località che ha radici storiche profonde è fondamentale sia corretto come riportato dalle fonti documentali. In questo caso le radici risalgono al Municipium romano, quindi molto indietro nel tempo e quindi ha ancora più senso trivare una risposta. Senza troppi giri di parole, partiamo dalla fine e diciamolo chiaramente! Il quartiere di Vibo Valentia tra Questura e Liceo Classico si chiama senza ombra di dubbio Sant’Aloe e non Stanislao Aloe, lo certifica non solo la tradizione orale – tutti i vibonesi e i monteleonesi hanno sempre parlato di via Sant’Aloe – ma anche un documento storico inoppugnabile: la cartina di Monteleone del Bisogni del 1710.

Le ipotesi. In questa cartina viene chiaramente riportata nella legenda una chiesa di Sant’Aloe dirupata proprio nell’area che a noi interessa. Si obietterà: non esiste un Sant’Aloe o Aloi e non è mai esistito. Chi è Sant’Aloe? In realtà è Sant’Eligio, protettore degli orafi e dei maniscalchi che proprio in quella zona della città avevano le loro botteghe. Perché Sant’Aloe? Dal francese Eloi, in provenzale Aloi, volgarizzato in Aloe.

Sulle orme del Santo. Tracce di Sant’Aloe non si trovano solo a Vibo Valentia. A Potenza mi è stato possibile rinvenire l’imprecazione sinonimica Mannaggë a Sand’Aloië! mentre a Vibo si diceva “aia aloi” usata nella convinzione che si tratti d’un santo inventato, sintomo di sbiadimento del nome dialettale, e non del vescovo e santo francese. Nel napoletano santaloja veniva chiamato il maniscalco e il mediconzolo (cfr. Salzano – Vocabolario Italiano – Napoletano ‘ 1989: 216). “Per santo Loi” era il giuramento dei mulattieri toscani (si v. la Novella CLIX del Sacchetti). Ma vi è di più: a Fabriano esiste una chiesa dedicata a Sant’Alò. La chiesa prende il nome proprio dal santo di origine gallo-romana del sec. VI, Sant’Eligio che in latino suona Aloysius. Anche ad Augusta, in Sicilia si trovava una chiesa dedicata al culto di Sant’Eligio, ovvero di “Sant’Aloe”, com’era chiamato in modo dialettale, simile al nostro.esiste anche una Torre di Sant’Alò a Mantova, risalente al XIV secolo, che deve il suo nome a Sant’Eligio, protettore dei maniscalchi, il quale appariva su un gonfalone della corporazione al tempo dei comuni.

Stanislao D’Aloe (e non Aloe…), cui molti erroneamente attribuiscono la denominazione di via e quartiere, è invece, personaggio pur meritevole di una intestazione di via, nacque a Sant’Onofrio il 3 agosto 1814 (un secolo dopo la cartina del Bisogni) e morì a Napoli nel 1888. Allora, viva Sant’Aloe!

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