Cronaca

Omicidio del magistrato Bruno Caccia, spunta il nome di un ex brigatista vibonese

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Francesco D’Onofrio, 62 anni, originario di Vibo Valentia, dissociatosi dalla lotta armata nel 1987, è indagato a piede libero. E’ accusato da un pentito di ‘ndrangheta

Un ex militante di Prima Linea è indagato a piede libero, a Milano, per l’omicidio del magistrato Bruno Caccia, procuratore capo a Torino, ucciso in un agguato
sotto casa nel 1983. Un delitto che è sempre stato attribuito alla ‘ndrangheta: e anche adesso, almeno secondo le carte processuali, gravita attorno alla criminalità organizzata calabrese trapiantata nel Nord-Ovest. Perché Francesco D’Onofrio, 62 anni, originario di Vibo Valentia, dissociatosi formalmente dalla lotta armata nel 1987, all’epoca dei fatti avrebbe fatto parte – con un doppio ruolo alquanto inedito – del ‘locale di Domenico Belfiore, il boss che per il delitto Caccia è già stato condannato all’ergastolo con sentenza definitiva in qualità di mandante.

‘Ndrangheta: arrestato esecutore omicidio Bruno Caccia, procuratore di Torin (LEGGI QUI)

Bruno Caccia

Accusato da un pentito. A pronunciare il nome di D’Onofrio è stato un nuovo pentito, Domenico Agresta, 28 anni, detenuto dal 2008. In queste settimane l’omicidio del magistrato è l’argomento di un processo contro uno dei presunti esecutori, Rocco Schirripa detto ‘Barca’. Oggi il pm Marcello Tatangelo (“con grave ritardo” secondo la difesa) ha tolto gli omissis ai verbali di Agresta. Il quale ha raccontato di una conversazione che nel 2012 ebbe con il padre e un terzo presunto ‘ndranghetista in carcere, dove tutti erano detenuti. “Papà, in dialetto calabrese, disse che furono Rocco e Franco a farsi il procuratore di Torino. ‘Farsì è il termine che tra di noi usiamo per significare ‘uccidere’. La cosa non mi stupì: sapevo che erano persone che sparavano. Mi limitai a commentare ‘questa è gente che sa il fatto suo’ e non feci domande. Per noi ‘ndranghetisti approfondire i particolari di un omicidio ha senso solo se ci dobbiamo vendicare”.

Delitto impunito. Dopo 34 anni il caso Caccia ha ancora dei risvolti oscuri. Il movente non è mai stato chiarito: quello che è certo è che il giudice era noto per il carattere intransigente e la determinazione nella lotta al crimine. L’ipotesi del terrorismo venne esplorata e accantonata (le Brigate Rosse negarono di essere coinvolte) e né Prima Linea né la banda sorta dalle sue ceneri, i Colp, furono mai sospettate.

Indagato a piede libero. Secondo l’antimafia torinese, D’Onofrio (nella foto) è però uno ‘ndranghetista almeno dal 2006. Un pentito afferma che nell’organizzazione ricopre un grado molto elevato. Ma lui, interrogato una decina di volte nel corso degli anni, nega: “Sono calabrese, ma con quella gente non c’entro nulla. Anzi,sono in dissenso totale. La verità è che ho un passato di un certo spessore: qualcuno di loro dice che sa delle cose su di me, ma lo fa solo per darsi importanza”. Oggi è a piede libero. Lo scorso gennaio è stato condannato in primo grado da un tribunale di Torino a 4 anni e 2 mesi: era accusato del possesso di dieci kalashnikov. Un vero e proprio arsenale che forse era a disposizione delle cosche. Ma che è non è mai stato trovato.

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