Cultura & Spettacolo

Il nuovo sinodo di mons. Luigi Renzo a confronto con il passato

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Attenzione focalizzata sul cammino del Popolo di Dio e l’invito a non essere schiavi delle cose di questo mondo

di VINCENZO VARONE

La chiesa della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea giusto l’altro ieri, dopo quasi 60 anni, ha iniziato il percorso verso il nuovo sinodo che inizierà ufficialmente nel prossimo mese di ottobre per poi concludersi nel 2020. L’ultimo era stato celebrato dal vescovo monsignor Vincenzo De Chiara, proveniente dalla vicina terra lucana e che per lunghi anni governò l’immensa e complessa diocesi che all‘epoca si estendeva fino ai centri della Piana di Gioia Tauro. Anni difficili segnati dalle privazioni e dalla piaga dell’emigrazione, ma anche ricchi di valori e di positività, dettati dai grandi segnali di speranza che provenivano da una società in evoluzione pronta ad affrontare qualsiasi tipo di sfida.

Indagine preliminare. Il primo incontro preparatorio di questo nuovo sinodo, fortemente voluto dal vescovo monsignor Luigi Renzo, ha registrato la consegna del questionario per l’indagine preliminare in vista dell’Istrumentum laboris, cui seguiranno le assemblee presi-sinodali parrocchiali e zonali e l’apertura del pre-sinodo con la costituzione dei membri sinodali e delle commissioni di lavoro. .

“Cultura del provvisorio”. Durante l’ assemblea tenuta nella Basilica Cattedrale per la consegna del questionario il presule monsignor Renzo ha manifestato la speranza che “Il Sinodo Diocesano, a cui guardiamo con attesa e fiducia” aiuti “a maturare insieme il “cammino comune”, con obiettivi comuni e senza tentennamenti o riserve di sorta”. Il vescovo ha parlato anche della “cultura del provvisorio” e del “frammento”, caratterizzato da una preoccupante “apostasia silenziosa”, che ci porta ad essere schiavi delle cose di questo mondo, chiusi sotto una cappa irrespirabile, in cui Dio o resta fuori, o risulta essere insignificante nelle nostre scelte concrete. Viviamo in una società – ha quindi rimarcato il pastore della chiesa diocesana – in cui le regole dell’economia e della finanza hanno sostituito quelle della morale mettendo in serio pericolo la stessa convivenza civile. Se tutto questo costituisce un rischio per la nostra fede ridotta all’insignificanza, può altresì trasformarsi per tutti noi in una sfida ed in una spinta a recuperare la forza di una fede profetica, che prende linfa dall’acqua viva che Gesù è venuta a portarci”. Ma noi in questa circostanza vogliamo anche soffermarci sulla figura di monsignor Vincenzo De Chiara che portò a compimento l’ultimo sinodo, quello appunto del 1959, accennando allo spirito innovatore che caratterizzò il percorso pastorale di questo vescovo dal carattere mite, grande studioso della figura di San Paolo, che nei primi anni Sessanta si distinse per i suoi accorati appelli ai sacerdoti e ai religiosi di non chiudere gli occhi sull’evoluzione della società.

Rievocazioni. Lo spunto ci viene offerto da un articolo apparso nel 1962 sul quotidiano “La Stampa” di Torino. Nel pezzo vengono riportati gli inviti accorati al clero dell’allora presule a formarsi una mentalità più moderna per quanto concerne gli orari e con l’invito ai parroci a rendere conto ai fedeli della questua. “Nell’epoca dei cronometri – affermava monsignor Vincenzo De Chiara – tutto è ad orario fisso. Il treno, il lavoro, la partita di calcio, la radio, la televisione: nelle funzioni sacre tutto è invece come una volta. Non si sa quando si comincia e meno ancora si può calcolare quando si finisce. Anche la predica, il catechismo, l’omelia sono elastici, secondo la vena del predicatore. Questo oggi – diceva allora De Chiara -non può andare. Bisogna che i fedeli sappiano a che ora si comincia, che cosa si farà, quando finirà. Altrimenti come ci potremmo lamentare degli arrivi a metà della messa”. De Chiara nel pezzo apparso sul quotidiano torinese si diceva, inoltre, contrario alla soppressione della “questua” durante la messa, purchè “le si restituisca il suo significato religioso come segno dell’offerta di se stessi”. Riguardo poi ai regali in denaro e in natura dei fedeli, date per il culto o per i poveri De Chiara nell’articolo fu categorico: “Sia reso conto ai fedeli; informarli del loro impegno non è un atto di sfiducia nei riguardi del clero, ma piuttosto un interessarli della vita della comunità”. Anni lontani
quelli di De Chiara. Anni odoranti di incenso e di fede che il nuovo sinodo farà riemergere dalla polvere della dimenticanza. Nulla è effimero nel cammino del Popolo di Dio.

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