Cronaca

‘Ndrangheta: “Black money”, Cassazione rigetta istanza di rimessione del processo

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I legali degli imputati avevano chiesto alla Suprema Corte lo spostamento del dibattimento da Vibo per motivi di legittimo sospetto derivanti da gravi situazioni locali

di GIUSEPPE BAGLIVO

La seconda sezione penale della Cassazione ha rigettato, dichiarandola inammissibile, l’istanza di rimessione ad una sede diversa dal Tribunale di Vibo Valentia del processo “Black money”, avanzata da quasi tutti i difensori degli imputati per motivi di legittimo sospetto. In particolare, la Suprema Corte era stata chiamata decidere in ordine alla sussistenza dei presupposti per individuare un altro giudice ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale che, nel caso di un Tribunale ricompreso nel distretto di Corte d’Appello di Catanzaro come quello di Vibo, radica la competenza nel Tribunale di Salerno.

Corte di Cassazione

La richiesta era stata formulata dagli avvocati Armando Veneto, Giuseppe Di Renzo, Francesco Sabatino, Leopoldo Marchese, Domenico Chindamo, Mario Bagnato, Antonio Porcelli, Salvatore Staiano, Michelangelo Miceli, Nicola Cantafora e Francesco Calabrese nell’interesse degli imputati Giovanni Mancuso, Giuseppe Mancuso, Damian Fialek, Antonino Castagna, Agostino Papaianni, Antonio Prestia, Gaetano Muscia, Pantaleone Mancuso (detto “Scarpuni”), Nicola Castagna, Carmela Lopreste, Giuseppe Papaianni e Ottorino Ciccarelli, tutti sotto processo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia a seguito dell’operazione antimafia denominata “Black money” condotta dalla Dda di Catanzaro. Processo quindi che andrà avanti con l’inizio della requisitoria del pm Marisa Manzini già fissata per il 28 dicembre.

toga camera penale

Per gli imputati ed i loro difensori – alla luce degli accadimenti delle scorse settimane dopo il controesame del collaboratore di giustizia Andrea Mantella e le dichiarazioni spontanee dell’imputato Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni” – ci si trovava ben “oltre il confine delle mere campagne di stampa e delle pressioni mediatiche sull’opinione pubblica ovvero delle forme di spettacolarizzazione del processo. Si prospetta alla Suprema Corte – avevano rimarcato gli avvocati – il carattere astioso, martellante, in alcuni casi distorto e scandalistico delle informazioni giornalistiche che hanno raggiunto livelli tali, per toni e contenuti, da dare la certezza della concreta ed effettiva incidenza sulla capacità del giudice-ufficio di svolgere imparzialmente le proprie funzioni”. Gli avvocati nell’istanza di rimessione ad altra sede del processo, non lamentavano quindi un semplice sospetto o un mero timore di condizionamento dell’organo giudicante, “bensì pressioni che travalicano il limite fisiologico, diventando così agenti perturbativi”. La Cassazione ha ritenuto di respingere l’istanza di rimessione presentata dagli avvocati ed il processo andrà così a sentenza a Vibo Valentia. La Corte di Cassazione ha anche condannato gli imputati ricorrenti al pagamento delle spese processuali nei confronti delle parti civili del processo.

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