Politica

REFERENDUM COSTITUZIONALE | “Basta un sì per cambiare il paese? Ovviamente NO”

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di FRANCESCO PACILE’*

Il prossimo 4 dicembre gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere se approvare o meno la legge di revisione costituzionale che porta il nome del Ministro Maria Elena Boschi. La campagna referendaria è stata connotata fin dal principio da toni apocalittici e catastrofisti da ambo gli schieramenti. “Se vince il NO non cambia nulla per i prossimi 20 anni”; “Se vince il SI’ L’Italia diventerà una dittatura”; “Se vince il NO si torna indietro di 30 anni” ; “Se vince il SI’ saremo schiavi delle banche”. Tutto questo è stato corroborato da una forte personalizzazione da parte del Premier Renzi, (“Se vince il NO mi dimetto e lascio la politica”) colta immediatamente al volo dai suoi antagonisti , a discapito di una seria analisi nel merito e nel metodo.

Dopo il referendum. Una cosa però è certa: che qualunque sarà il risultato, il 5 Dicembre avremo ancora un paese diviso, in preda ad una crisi economica senza precedenti.
Undici milioni di cittadini hanno rinunciato alle cure mediche, 4 milioni di italiani vivono sotto la soglia della povertà, e il 40 % dei giovani non studia né lavora. Basta una riforma costituzionale per rimediare a tutto questo? La risposta è ovviamente NO. Per intenderci, chi scrive crede che la seconda parte della nostra bella Costituzione vada rivista, superando sistemi che hanno perso il loro significato storico (vedi bicameralismo). È però un dato di fatto che il bicameralismo perfetto, abbinato ad un sistema elettorale di tipo proporzionale, non ha impedito all’Italia di diventare quinta potenza economica al mondo, e di avere tra i migliori sistemi di tutela sociale e civile per i lavoratori e le famiglie.
La legge sul divorzio, quella sull’aborto, lo Statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, il Sistema Sanitario Nazionale, furono tutte leggi approvate con l’attuale sistema costituzionale. Altri tempi, e probabilmente altra classe politica. Certo i principi che muovono questa riforma sono buoni e anche condivisibili.

I pro e i contro. Superamento del bicameralismo perfetto, abolizione del Cnel, redistribuzione dei poteri tra Stato e Regioni; chi non vorrebbe tutte queste cose? Il punto è che se poi andiamo a vedere la riforma nel merito, non possiamo che notare un coacervo di proposizioni sconclusionate, che nel nome della governabilità trasformano un sistema semplice e chiaro in un sistema scombinato e confuso, che in futuro potrebbe anche aprire la strada ad una “dittatura della maggioranza” (leggere Tocqueville)

Un pasticcio. Con il nuovo riparto di competenze tra Camera e Senato, il nostro bicameralismo diventa estremamente pasticciato, con Senatori nominati dai Consigli regionali senza vincoli di mandato, che giovati dall’acquisto dell’immunità parlamentare, potranno legiferare su tutto meno che su il riparto di competenze tra Stato e Regioni. Inoltre, attraverso l’introduzione del voto a data certa per i disegni di legge di origine governativa, si darà la possibilità al governo di intromettersi nelle votazioni della Camera dei Deputati. Il tutto, accompagnato dalla legge elettorale iper – maggioritaria “Italicum”, sposterà il baricentro del potere dal Parlamento al Governo, attraverso un’ elezione “direttamente implicita” del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il centralismo. Con la revisione del Titolo V, si ritorna ad uno Stato centralista, che sminuisce il pluralismo decisionale implicito nella nostra Costituzione, che attraverso la clausola di supremazia de “l’interesse nazionale” consente al governo di intromettersi in maniera arbitraria nelle materia di competenza esclusiva delle regioni, che non tocca gli ormai inutili privilegi delle Regioni a statuto speciale, che crea regioni di serie B e di serie C attraverso la creazione del regionalismo differenziato (tra le regioni del Nord e del Sud s’intende), e che si riappropria di materie fondamentali come infrastrutture, beni culturali e politiche energetiche, non toccando però l’unica materia meritevole di tornare ad essere di competenza esclusivamente statale: la sanità.
Certo, ci sono aspetti positivi, come l’abolizione del CNEL, l’introduzione del principio di trasparenza nella pubblica amministrazione, o l’aumento degli strumenti di democrazia diretta e partecipata. Qualora dovesse vincere il NO questa parte della riforma potrebbe essere riproposta all’attuale Parlamento, che la potrebbe approvare a maggioranza dei 2/3 senza necessità del referendum confermativo. Purtroppo i contro sono più di pro.

Aldilà della propaganda politica di ambo gli schieramenti, questa riforma può aiutare concretamente l’Italia e i suoi abitanti? In un Paese dove la disoccupazione tocca ancora vette altissime, dove il precariato la fa da padrona, dove la povertà assoluta aumenta vertiginosamente, dove undici milioni di italiani hanno rinunciato alle cure mediche, dove il numero degli studenti universitari diminuisce, e dove più di centomila giovani espatriano alla ricerca di un lavoro dignitoso, basta realmente un SI a cambiare il paese? La risposta non può che essere NO

* Comitato per il No