Cronaca

Abusò sessualmente della figlia di 9 anni, Cassazione ritiene il padre colpevole

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Si tratta di un docente dell’Unical di Cosenza ancora in servizio. La ragazza trovò il coraggio di raccontare tutto alla madre dopo un filmato di Papa Wojitila in Tv contro la pedofilia

La Suprema Corte ha dichiarato colpevole un professore associato dell’Unical di Cosenza, P.C.C., originario di Reggio Calabria, per aver abusato della figlia di 9 anni (oggi maggiorenne) in un arco temporale che va dall’agosto 2002 al marzo 2005. In relazione però alla sola quantificazione della pena, la Cassazione ha rispedito gli atti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria che dovrà rideterminare la condanna. Nel precedente giudizio di secondo grado, conclusosi nel 2014, i giudici d’Appello avevano inflitto al docente 8 anni e 6 mesi di reclusione. Il professore era stato arrestato su ordinanza del gip di Reggio Calabria per fatti di reato che sono stati commessi a Rende, dove il professore risiedeva, ed a Reggio Calabria a casa dei nonni della bimba.

Papa con bimbo

La “confessione” della bimba alla madre, anche lei docente universitaria e separatasi dal marito, porta la data del 2 aprile 2005 quando la ragazza trovò il coraggio di raccontare tutto dopo aver visto in tv un filmato di Papa Karol Wojitila in Brasile mentre lanciava un monito contro la pedofilia e gli abusi sui minori. La madre, dopo il racconto shock della figlia, presenta una denuncia ai carabinieri e gli atti da Cosenza prendono la via per Reggio Calabria in quanto i primi abusi sono avvenuti quando la bimba veniva portata a trovarte i nonni. Il processo, nei vari gradi di giudizio, racconta di abusi sessuali scabrosi. Otto anni e 6 mesi la condanna in primo e secondo grado. La Cassazione annulla però con rinvio e nel nuovo processo d’Appello la ragazza – nel frattempo divenuta maggiorenne – testimonia in aula assistita dall’avvocato Gianluca Bilotta. “Non odio mio padre – riferì alla Corte la ragazza durante il suo esame, perchè è sempre mio padre, ma non posso perdonarlo per quello che mi ha fatto”. Ora di nuovo la Corte d’Appello dovrà riquantificare la pena, ma per la Cassazione l’imputato ha commesso i fatti che gli vengono contestati. (g.b.)