Cronaca

‘Ndrangheta: clan “Rango-Zingari”, stangata in abbreviato: raffica di condanne

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Ergastolo per Maurizio Rango. Dai 16 ai 2 anni e mezzo per gli altri imputati. Soltanto due le assoluzioni. Sentenza storica che riconosce per la prima volta il clan degli zingari 

Una sentenza storica. E che dimostra la validità delle tesi accusatorie formulate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Il clan “Rango-Zingari” esiste. E non soltanto nella percezione della collettività. Per la prima volta, una sentenza che vedeva imputate 35 persone per i reati – contestati a vario titolo – di associazione mafiosa, traffico di droga, estorsioni e omicidi tende a dimostrare che nell’area urbana esisteva – e in parte esiste ancora attraverso singolari ramificazioni – una “famiglia” di ’ndrangheta capace di dettare legge e imporre le proprie regole a ogni altra organizzazione criminale presente sul territorio.

Maurizio Rango

Maurizio Rango

Maurizio Rango, nella sua veste di promotore e capo della malavita bruzia alleata al clan degli zingari, è stato infatti condannato con rito abbreviato all’ergastolo. Sulle sue spalle, così, è ricaduto il peso soprattutto del delitto di Luca Bruni, fratello di Michele Bruni “Bella Bella” ultimo padrino della città bruzia, morto per cause naturali. Rango e i suoi uomini – tali possono essere definiti alla luce della pronuncia di ieri sera – sono stati riconosciuti colpevoli di una serie di reati attraverso i quali è stato possibile piegare alla proprie volontà parti sane dell’economia e, secondo gli sviluppi di altre e più recenti indagini, anche uomini della politica e delle istituzioni. Dei 35 imputati, 33 sono stati condannati con rito abbreviato e soltanto due assolti: Mario Mignolo e Roberto Pastore. Per tutti gli altri, le pene comminate vanno (tolto l’ergastolo di Rango) dai 16 ai due anni e mezzo. Condannato anche il collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti, l’uomo che ha consentito agli uomini dell’Arma di ritrovare i resti del corpo di Luca Bruni.

Adolfo Foggetti

Adolfo Foggetti

Ecco, nel dettaglio, tutte le condanne: 16 anni per Antonio Abbruzzese; 16 anni per Ettore Sottile, 10 per Antonio Imbroinise, 14 anni per Antonio Intrieri e Domenico Mignolo; 10 anni per Luca Maddalena; 8 anni per Giuseppe Curioso, Alfonso Raimondo, Francesco Vivacqua, Alberto Ruffolo, Gianluca Barone; 10 anni per Francesco Ciancio; 8 anni per Fabio Calabria e Gianluca Arlia; 7 anni per Luciano Impieri; 12 anni per Celestino Bevilacqua e Rocco Bevacqua; 12 anni per Gennaro Presta, 10 anni per Attilio Chianello e Danilo Bevilacqua; 5 anni per Leonardo Bevilacqua e Cosimo Bevilacqua; 6 anni per Adolfo Foggetti, 5 anni per Mario Perri, Andrea Greco, Domenico Cafiero, Giuseppe Esposito; 6 anni per Giovanni Iannuzzi; 2 anni e sei mesi per il collaboratore di giustizia Giuseppe Montemurro; 4 anni e sei mesi anni per Simone Santoro; 2 anni e 8 mesi per Antonio Abbruzzese e Francesca Abbruzzese.

pm Pierpaolo Bruni

Il pm Pierpaolo Bruni

La sentenza di ieri sera è decisamente importante anche ai fini di altri processi in corso. In particolare, quello che si sta celebrando al Tribunale di Cosenza con rito ordinario e che vede imputati altri esponenti di spicco del clan. Proprio nei giorni scorsi, infatti, è stato ascoltato in aula il maggiore Michele Borrelli, capo del Nucleo investigativo dell’Arma, il quale ha ricostruito la genesi della cosca. Nelle prossime settimane, invece, sarà la volta di altri testi chiamati a deporre dalla pubblica accusa rappresentata dal sostituto procuratore distrettuale Pierpaolo Bruni, lo stesso pm che ha sostenuto l’accusa ieri nel corso del processo in abbreviato. Il riconoscimento dell’esistenza di un vincolo associativo tra gli uomini della cosca “Rango Zingari”, che conta un altro pentito eccellente (e cioè il capo Franco Bruzzese) costituisce un elemento di novità assoluta sul piano giuridico. E dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, che i sospetti degli inquirenti non erano affatto campati in aria: le nuove alleanze stipulate tra italiani e “zingari”, con una bacinella unica e interessi comuni, ha costituito l’elemento di forza del nuovo cartello criminale di fronte al quale, però, la Dda ha saputo porre da subito un muro imponente.

Pier Paolo Cambareri
(cosenza@zoom24.it)

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